Paul Halter : La fonte delle lacrime (Les Larmes de Sybil, 2005) – trad. Angelo Petrella. Il Giallo Mondadori N° 3102 del 2020

Oramai la fine della serie con Alan Twist è alle porte, e forse è anche un bene, se è vero che prima o poi dovranno per forza rivolgere le attenzioni all’altra serie , quella di Owen Burns, che ha dei titoli molto buoni. Mi viene da pensare che quello che mi disse mesi fa Igor Longo, era sostanzialmente vero: “Io al tempo feci i migliori Halter“. Non che quelli ultimi siano stati delle ciofeche, ma è indubitabile che Igor scelse tra quelli che aveva letto, quelli da proporre; ed è altrettando indubitabile, che oggigiorno non vi è nessuno in Mondadori che abbia letto tutti gli Halter e sappia fare opera di discernimento prima di proporre i romanzi da pubblicare. Ci si adagia sull’evidenza del passato senza osare proporre qualcosa di nuovo: ad esempio Le Montre en Or, dell’anno scorso, di cui ha parlato assai bene non solo Gabriele ma  anche Fei Wu, e che sono in procinto di leggere, o qualche romanzo con Owen Burns. Ci sarebbe anche qualcosa da dire sulla traduzione, ma ne accennerò dopo aver parlato della trama.
Nel paese di Chartham, in Cornovaglia, vive la famiglia Kendall: Oliver è un poliziotto, la moglie è Ruth, e siccome non hanno avuto figli, hanno adottato Sandra, diventata con gli anni una gran bella ragazza, preda delle attenzioni dei due fratelli Trevor e Philip Leighton. La loro è una famiglia segnata dalla tragedia: la loro madre Deborah ancora va sulle falesie, gridando nel vento il nome di suo figlio Henry, caduto in mare e mai più ritrovato.
In questo paese molto selvaggio e in cui nessuno capita, un bel giorno invece arriva un tale Patrick Markale: pare che sia un sensitivo, e poi lui ammette di stare lì perchè certa la Fonte di Sybil, una fonte di acqua magica, capace di aumentare il suo grado di veggenza.
Appena arrivato, si reca proprio a casa Kendall ad acquistare un tavolo rotondo di legno che gli servirà per le sue pratiche, e in quell’occasione fa una predizione di sventura a Ruth Kendall. Questa premonizione in realtà non avrebbe un gran valore se non fosse coadiuvata da una serie di sedute, in cui Kendall, su richiesta anche di alti papaveri della polizia, chiede a Patrick di scoprire gli autori di alcuni reati: si incomincia su un furto avvenuto poco tempo prima e la cui divinazione fa scoprire il maltolto in men che non si dica; poi è la volta di un’ostessa e di un rappresentante di liquori scomparsi nel nulla, di cui Markale, pressato da Kendall che ne vuole dimostrare la cialtroneria, fa trovare i cavaeri, ormai scheletriti, sepolti nell’orto di casa dall’oste geloso della moglie; poi riesce a trovare i gioielli rubati anni prima e mai trovati nella zona, poi ancora riesce a far scoprire l’autore di un  incendio. Più va avanti nei suoi successi, più Patrick Markale diventa famoso, più Kendall schiuma di rabbia e stupefatti sono anche Hurst e Twist che in quel paese sono arrivati per  dare man forte a Kendall. La cosa finirà quando Markale morirà e della morte verrà indicata una persona, che avrebbe pianificato la sua morte, ma che in realtà è stata usata da un’altra, il vero colpevole, il cui scopo era duplice: colpire due piccioni con una fava. Solo che c’è Twist che lo individuerà e ne scoprirà il piano diabolico.
Diciamo subito che questo romanzo di Halter, non è uno, come ci si aspetterebbe, o almeno si spererebbe, con delitto impossibile, ma è più che mystery…una favola nera, come ne abbiamo visto altre nella seconda parte della carriera di Halter, quando invece la prima era stata dettata all’inizio da delitti impossibili, camere chiuse e atmosfere opprimenti e orrorifiche.
Per certi versi questo plot mi ha ricordato L’Homme qui aimait les nuages, una trama tutto sommato leggera, inframmezzata qua e là da spunti misteriosi, che ha ancora una volta cone nota dolente (è l’unica, ma oramai è ben presente) di non presentare all’interno del romanzo, una struttura ben articolata di indizi che possono trasformarsi come prove e che anche il lettore può ben utilizzare per crearsi il suo colpevole cercando di rivaleggiare con l’autore (e quindi con il suo personaggio principale). Per di più, Alan Twist,  man mano che passa il tempo, perde le sue caratteristiche di personaggio leader, assurgendo sempre più ad una figura di comparsa che solo nell’ultima parte del libro catalizza l’attenzione del lettore, e perde nel contempo lo spessore di figura a tutto tondo, che invece era presente nei primi romanzi: servirebbe per me, perdere qualche parola in più per descriverne il personaggio, dal punto di vista fisico e anche psicologico, un po’ come il vecchio Carr anche nei romanzi tardi non mancava di tratteggiare in maniera anche fracassona il personaggio di Gideon Fell.
Man mano che Halter è andato in là nella sua produzione, essa ha perso sempre più la connotazione di mystery classico, di whodunnit, trasformandosi in favole nere: questo perchè la trama tende sempre più a trasformarsi in una nebulosa, in cui qua e là appaiono gli indizi, che non sono mai del tutto definiti e spesso cadono dal cielo, e che quindi non possono essere presi in esame dal lettore; che sta sul palco, non riuscendo mai a salire sul palcoscenico della trama, e assiste trasognato a qualcosa che si svolge sotto i suoi occhi e di cui non riesce quasi mai a venire a capo: è il limite dello stile halteriano. Questo modo di scrivere, che si è inspessito col passare del tempo, ha una debolezza sostanziale dalla sua: il lettore tende a sottvalutare col tempo l’opera letteraria del Nostro che invece ha i suoi punti di forza nelle atmosfere tratteggiate con grande perizia e nei delitti impossibili che quando ci sono, sono talvolta così impossibili da non venir talora sufficientemente spiegati razionalmente (un po, l’errore di Talbot). Quando però i delitti impossibili, che sono il suo marchio di fabbrica, mancano, ecco che le mancanze si rivelano in tutto il loro spessore: se gli indizi fossero tangibili e l’autore accettasse di confrontarsi col lettore, molto probabilmente l’utente finale rimarrebbe più soddisfatto e il romanzo acquisterebbe in considerazione.
A questa sua deficienza stilistica, a parer mio, contribuisce talora anche la traduzione: Halter quando scrive, di solito ha una scrittura un po’ monotona, che per essere rivitalizzata avrebbe bisogno di qualcuno che traducendo, creasse un ritmo che talora non c’è, allungando o accorciando le frasi. E’ da un po’di tempo a questa parte, che la lettura è sempre un po’ difficoltosa, non nel senso di difficoltà di terminologia quanto nel ritmo: si fa fatica a leggere e portare a termine il libro, non si è invogliati, come quando traduceva Igor Longo. Certo può essere anche che sono i romanzi un po’ deboli, e questo lo è, ma…
Infine ecco Twist che scende dal cielo come un deus ex machina e spiega quello che mai uno avrebbe potuto capire, perchè non c’è stata mai la minima possibilità che si potesse supporre tutto quell’ambaradan, che certo stupisce, ma che stupirebbe di più se il lettore assistesse di più, durante il romanzo, allo svolgersi del pensiero di Twist.
Anche qui c’è come in altri romanzi, il personaggio che scompare: francamente, ho pensato durante la lettura, fino ad un certo punto, che il figlio dei Leighton, caduto dall’alto della scogliera, fosse Patrick Markale, e si rinnovasse qui una delle caratteristiche della narrativa halteriana: quella delle sostituzioni di persona, delle doppie identità e del ritorno dell’erede, che invece qui non ritorna. La natura professionale dell’assassino, ha un trait d’union con un altro romanzo più giovanile, anche se lì l’assassino risulta meno abbietto di questo.
E ancora una volta, le violenze in età infantile, appaiono, e hanno una parte determinante nel plot: questo spessore psicologico, mette Halter nell’Olimpo degli scrittori contemporanei, per la sua capacità di introspezione in un mondo, di cui molti non colgono la valenza, per la sua attenzione alle motivazioni drammatiche infantili, che vengono presentate sempre o quasi con grande finezza. Che se fosse accompagnata da una capacità introspettiva anche nella struttura  indizaria, collocherebbe sempre le sue opere tra i massimi esempi contemporanei di crime fiction.

Pietro De Palma

Paul Halter : La fonte delle lacrime (Les Larmes de Sybil, 2005) – trad. Angelo Petrella. Il Giallo Mondadori N° 3102 del 2020ultima modifica: 2020-11-30T11:58:43+01:00da lo11210scriba
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