L’omaggio di Edward D. Hoch ad Agatha Christie

Edward D. Hoch : La Fabbrica di Frankenstein (The Frankenstein Factory, 1975) – Trad. Vittorio Curtoni – URANIA, I Romanzi, Mondadori, 2 novembre 1980

 

copertine dvd 005.jpgLo so che è alquanto infrequente leggere l’analisi di un romanzo di fantascienza in un blog dedicato esclusivamente alla letteratura e al cinema polizieschi, ma in questo caso la ragione è facilmente comprensibile: il romanzo in questione, pur essendo apparso su un volume Urania, è nient’altro che un romanzo poliziesco mascherato da romanzo fantascientifico.

L’autore è stato un autore esclusivamente poliziesco, e quindi mal si adatta una collocazione in pubblicazione fantascientifica del suo romanzo. Ma comunque il tutto lo rende particolarmente individuabile, magari di più che non fosse stato pubblicato su una collana più propria.

Edward Dentiger Hoch (scrittore molto versato nel racconto giallo classico e con all’attivo quasi mille racconti, tra cui moltissime camere chiuse), che aveva scritto precedentemente altri quattro romanzi, due mystery (The Shattered Raven, 1969; The Blue Movie Murders, 1972, a nome di Ellery Queen) e due di fantascienza mascherati (The Transvection Machine, 1971; The Fellowship of the hand, 1972), scrive The Frankenstein Factory, 1975,  che sembrerebbe derivare direttamente dal capolavoro di Mary Shelley, Frankenstein.

Il romanzo tratta di un’isola in cui sono conservate capsule di ibernazione, dove molti personaggi hanno disposto che vengano conservati i propri corpi in attesa che scoperte nel campo della medicina rendano possibile trattarli con tecniche operatorie e con farmaci ancora sconosciuti. Il dottor Frankenstein della situazione, che qui si chiama Lawrence Hobbes, tenta un’operazione senza precedenti: in una creatura, un soggetto di circa trent’anni morto per un tumore al cervello, si tenta di impiantare il cervello, il cuore, i reni e il fegato di altri essere umani. L’operazione è per certi versi segreta, anche perché lo scienziato “usa” alcuni corpi solo per prelevarvi organi, corpi che quindi saranno inutilizzabili o quasi..dopo.

Il romanzo per certi versi è parecchio simile ad uno di Steeman che è stato pure analizzato in questo spazio blog: anche lì c’è un dottore che tenta un’impresa mai tentata prima, cioè rianimare un corpo non più in vita attraverso l’elettricità, dopo avergli inserito nel cranio altro cervello. In entrambi i casi si tratta di criminali: criminale per amore, quello del romanzo di Hoch (prima di uccidersi buttandosi sotto un treno, ha ucciso la moglie, che aveva un cancro) ma in questo caso il cervello di un assassino è messo in un corpo di un ragazzo morto per un tumore al cervello; criminale invece allo stato puro, quello di Steeman, in cui il cervello di una persona normale dovrebbe essere trapiantato nel cranio di un assassino.

 Entrambi hanno evidenti punti di contatto col romanzo della Shelley, ma più ancora Hoch inserisce una citazione che sgombra ogni dubbio, nel suo romanzo:

“Cos’è questa storia del­la Fabbrica di Frankenstein?- Sentite, non è stato lui ad avere per primo l’idea. Louis Washkansky, un droghiere del Sudafrica, il primo uomo a cui sia stato trapiantato il cuore, ha detto in televisione: “Adesso sono come Frankenstein. Ho il cuore di qualcun altro”. Certo, si sbagliava. Il mostro non si chiamava Frankenstein, e poi lui è vissuto solo diciotto gior­ni, molto meno del mostro.- Però…

– Oh, ammettiamolo. Noi siamo l’equivalente moderno del dottor Frankenstein. Se questa operazione riesce, avre­mo creato un individuo nuovo. Nel suo corpo metteremo un cervello e altri organi prove­nienti da più persone diverse. Esattamente come faceva il dot­tor Frankenstein nel romanzo di Mary Shelley”( Edward D. Hoch, The Frankenstein Factory, “La fabbrica di Frankenstein”, traduz. Vittorio Curtoni, Mondadori, Urania, pag.15).

Se è storia poliziesca, deve esserci un investigatore. E infatti c’è : Earl Jazine, lo stesso detective di The Transvection Machine, “La Macchina Televettrice” e The Fellowship of the Hand, “Golpe Cibernetico”. E’ un agente del Computer Investigation Bureau, una sezione segreta che risponde direttamente al Presidente degli Stati Uniti.

Che ci fa qui Earl? Agisce sotto copertura: apparentemente è un tecnico video incaricato di riprendere in audio e video le fasi di un’operazione rivoluzionaria da tenersi in un’isola segreta; in realtà deve investigare su ricerche di criogenia e sui relativi finanziamenti, non tutti alla luce del sole. Esce dalla copertura quando Vera Morgan, una ricercatrice chimica, ne rivela l’identità. E questo accade quando scompare Emily Watson, una filantropa che vive nel centro e che lo sovvenziona coi suoi soldi; e soprattutto dopo che il Dottor MacKenzie, uno degli scienziati dell’equipe viene ritrovato strangolato. Scompare anche “la Creatura”, e quindi si pensa che possa c’entrare con gli omicidi. Poi vengono uccisi tutti tranne Vera Morgan e il dottor Armstrong un’ecatombe: Tony Cooper (amante di vera), Freddy O’Connor, Hobbes, Whalen, Emily Watson.

C’è un duello nelle sale delle capsule tra Earl e la Creatura  chiamata Freddy, poi ancora in agguato sulla spiaggia: l’intervento non è riuscito alla perfezione e così il cervello ha subito dei traumi: la Creatura non parla, ha il braccio sinistro non funzionante ma l’altro, come tutto l’essere, è dotato di una forza sovrumana. Eppure soccombe opposto ai tre superstiti: Jazine, Armstrong e Vera.

E’ stato lui ad uccidere gli scienziati? Oppure anche lui non  c’entra nulla, e la scelta è tra Armstrong e Morgan? Sarà Jazine a scegliere e a fornire la soluzione, dopo aver bevuto un caffè, che avrebbe potuto essere avvelenato se il suo preparatore fosse stato in effetti l’assassino.

Nel fatto che la location scelta per l’operazione e poi..per gli omicidi il romanzo sia un’isola, e che le varie persone convenute lì per il compimento dell’operazione chirurgica muoiano tutte, dopo che una sia scomparsa, fa richiamare alla mente il romanzo di Agatha Christie, And Then There Were None, “E poi non rimase nessuno”: un’isola trasformata in una trappola senza uscita. Una somiglianza sfacciata, tanto sfacciata, da avere anche qui la persona creduta morta, che non lo è; e per di più un personaggio, presente tra quelli del romanzo christiano, che è pure presente qui tra gli scienziati sull’isola. C’è anche una persona dalla doppia identità, ed una tensione non indifferente, che Hoch instaura con sapienza, travisando i lettori con false piste: la prima, quella della persona scomparsa; la seconda, quella della Creatura; la terza, quella del vero omicida.

 “Questa situazione mi ha ricordato un romanzo della scrittrice inglese Agatha Christie, un’opera di settant’anni fa. Parlava di dieci persone costrette a restare su un’isola che vengono uccise una per una, esattamente come qui…Alla fine si scopre che una delle presunte vittime è ancora viva”(Edward D. Hoch, op. cit., pag.122)

Inutile dire che anche qui il colpevole, come nel romanzo della Christie, è uno dei presenti, ma, se nell’opera originale della Christie era uno ritenuto precedentemente morto, qui non è così: il romanzo di Hoch ha cioè una identità ed una variazione interessanti. Vi è chi viene ritenuto morto in virtù di sangue trovato nel suo letto ma non lo è, ma che muore davvero, poi.  

Anche nella soluzione Agatha Christie entra di prepotenza, perché si viene a sapere che proprio al suo romanzo l’assassino si era ispirato.

Tuttavia le somiglianze finiscono qui: infatti il finale non è catartico, non muoiono tutti con l’isola deserta e poi mentre ci si domanda: “Ma chi è l’assassino?”, ecco spuntare uno di quelli che si riteneva essere morti, che morto non era e che ha ucciso gli altri.

No.

Il finale del romanzo di Hoch, ricorda il finale di René Clair “Dieci piccoli indiani”: due dei convenuti (ma uno è qui l’investigatore) riescono a salvarsi  e a mettere fuori gioco l’omicida.

 

Pietro De Palma

L’omaggio di Edward D. Hoch ad Agatha Christieultima modifica: 2013-02-09T15:28:29+01:00da lo11210scriba
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2 pensieri su “L’omaggio di Edward D. Hoch ad Agatha Christie

  1. Grande recensione Piero – ho questo volume di Hoch da anni (ansi, decenni!) ma non l’ho mai letto, proprio perche non mi andave di legger Hoch in chave fanta scientifica. Ma da quello che dici tu mi sa che va proprio la pena di leggerlo – adesso me lo vado a ritrovare il piu’ subito possible! Grazie.

    • Bel romanzo, Sergio. Fu una sorpresa quando lo lessi. Certamente, da Hoch mi sarei aspettato una Camera Chiusa, ma..per quello ce ne sono tanti altri. C’è anche un altro romanzo fantascientifico mascherato interessante, che se non hai letto ti consiglio di leggere (e prima o poi ne parlerò): Too Many Magicians, di Randall Garrett, a parere di Roland Lacourbe & Co., una delle 99 migliori Locked Rooms.
      Uno dei presenti alla riunione di Lacourbe,era un mio amico,Igor Longo, che ha tradotto quasi tutti gli Halter pubblicati in Italia e i 3 Steeman.
      A proposito, avantieri ti ho trovato un altro Halter, su cui ho scritto un articolo tempo fa, sia su questo Blog sia su quello inglese, “A 139 Passi dalla morte (A 139 Pas de la Mort, 1994)”. Te l’ho messo da parte.

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