Anthony Gilbert : La porta proibita (Don’t Open The Door, 1945) – I Gialli del Secolo N° 101, Casini, 1954

Si chiamava Lucy Beatrice Malleson, cugina del grande attore e drammaturgo britannico Miles Malleson, e di professione era scrittrice di polizieschi: sotto questo nome tuttavia nessuno la conosceva perché era famosa invece sotto quello di Anthony Gilbert. Sotto questo pseudonimo (altri furono J. Kilmeny Kaith e Anne Meredith) pubblicò ben 69 romanzi di cui 51 ebbero come protagonista l’avvocato detective Arthur Crook. E’ da dire però che la scrittrice si era cimentata, sotto lo stesso pseudonimo in altri romanzi, poco più che una decina, a partire dal 1927: infatti, il primo romanzo in assoluto, era stato The Tragedy At Freyne.

Sin dal primo romanzo Murder by Experts del 1936, questo nuovo detective fu immediatamente popolare.. Anche perché, diversamente dagli altri suoi colleghi, introdusse un modo di apparire sulla scena tutto suo: invece di  fare quella che è la parte consueta del detective anni ’30, cioè consegnare alla giustizia il colpevole dopo un acuto ragionamento, lui entra in scena quando il suo cliente è stato accusato di un delitto o comunque è coinvolto in un qualche guaio. Anche in questo romanzo che è del 1945, Don’t Open The Door , Arthur Crook entra in scena dopo almeno mezzo libro, e lo fa perché il suo cliente è stato additato come il rapitore della bella di turno. Ma…andiamo per ordine.la porta 001

Nora Deane è una bella ragazza, orfana, che ha vissuto con una zia in Scozia, finchè ella non è morta. Così sola e con pochi soldi, scende in Inghilterra per lavorare come infermiera, mettendo la sua esperienza al servizio di chi abbia bisogno di un’assistenza domestica. Così accade quando è inviata a casa di Alfred e Adele Newstead. Già la sera, con una nebbia così fitta da mettere in apprensione chi non conosca il posto, non promette nulla di buono; ma per di più a Nora capita anche di essere accolta, dopo un ritardo di oltre tre ore causa linea ferroviaria bloccata, da un Alfred Newstead estremamente sospettoso e sgradevole, che malcelatamente non gradisce una persona in casa. Grazie a Dio, almeno era stata accompagnata alla dimora da un bel giovane che aveva incontrato per strada, Sammy Parker, che le aveva proposto di pranzare assieme il giorno dopo..

Subito lei si accorge che c’è qualcosa che non va: la moglie, che a detta del marito soffre solo di una malattia nervosa, invece sta davvero male, e nonostante lui, dopo averle assegnato la stanza, brutta e trasandata da far paura, le intimi di non dare corda alla moglie, lei le si avvicina, tanto per capire dal tono di voce della donna, che Adele ha paura del marito; tanto da implorare la ragazza di prendere dalla scrivania un libriccino e di darlo al fratello della donna, Herbert. Fa appena in tempo ad intascare il notes, che il marito appare portandole una tazza di thé. Dopo aver bevuto la bevanda, improvvisamente capisce di essere stata drogata, e quando si sveglia, alle 6 passate del mattino, Adele è bell’e morta.

Il medico, chiamato dal marito, pur sospettandolo di uxoricidio per mezzo di una dose elefantiaca di sonnifero (da un tubo di compresse fornite dal medico mancano tre compresse in più rispetto a quelle prescritte) decide di non intervenire e di firmare purtuttavia il certificato di morte, anche perché la testimonianza della ragazza, pur sollevando dubbi ed incertezze sul reale comportamento del marito che si proclama innocente, non prova nulla in più di un semplice indizio. Ed egli, che in passato ha provocato l’arresto di una persona per uxoricidio, poi dichiarata innocente e purtuttavia suicidatasi, non vuole avere altri sulla coscienza.

Così Nora, ritorna a casa, per essere mandata in altra casa.

Intanto i funerali si sono svolti e Alfred è andato via, facendo perdere le tracce.

Nora contatta Herbert per consegnargli il libriccino e scopre che anche il fratello della morta sospetta il cognato di uxoricidio, tanto più che la moglie da tempo sospettava che il marito la tradisse con delle sgualdrine: una delle tante è Hattie Forbes, vicina di casa della coppia. Dopodiché anche l’avvocato sparisce.

Un giorno che Nora sta lavorando pressa la casa di una vecchia zitella, legge sul giornale che è stato trovato in una cava un corpo in decomposizione, che, per un orologio al polso, viene riconosciuto essere Alfred Newstead. Le indagini puntano allora verso Herbert. Può aver vendicato la sorella? Ma, allorquando la vecchia rivela tutto al nipote Roger Trentham giornalista, Nora diventa un pericolo per l’assassino, perché sul personaggio dell’infermiera e sulle sue presunte rivelazioni, crea degli scoop da “prima pagina”. E così accade che sulla base di due telegrammi fasulli, lei cade nelle braccia dell’assassino, che ha progettato, per la sua morte, un finto incidente d’auto.

Ecco che a questo punto entra in scena Arthur Croock, chiamato in causa da quel Sammy Parker innamoratosi istantaneamente della bella ragazza, il cui nome fasullo figura sui due telegrammi inviati alla ragazza. Tutti pensano che sia Sammy che l’abbia rapita ed invece è…

Sarà proprio Arthur coadiuvato dal giornalista a ritrovare la ragazza, ma quale sorpresa quando accanto a lei, chinato per curarla troveranno proprio Sammy. Che l’ha salvata, dopo che l’auto in cui era la ragazza, spinta giù dalla scogliera, dall’assassino, di sera, nella nebbia, si è fermata sul ciglio del burrone che è a picco sugli scogli, oscillando pericolosamente, e dopo che lì è rimasta Nora, drogata e mezza assiderata, per diverse ore.

Il ricovero della ragazza fornirà all’assassino l’ultima chance per eliminarla, non sapendo di essere non la ragazza ma lui stesso la mosca che cadrà nella ragnatela per lui predisposta.

Don’t Open The Door (pubblicato in USA nel 1946 coll’altro titolo Death Lifts the Latch)  è un bel thriller, che vive solo sulla suspence e non già sull’identità dell’assassino da scoprire, che è molto facile identificare. E non basta il tentativo della scrittrice di inventare una falsa morte ed uno scambio di identità (c’è un altro omicidio) per distogliere l’attenzione del lettore dall’assassino dichiarato o quasi: del resto, il romanzo non ha un parco di sospettabili vasto, cosa per esempio riscontrabile nei romanzi di Ngaio Marsh o di Georgette Heyer o di Agatha Christie, ma estremamente risicato: che si tratti del marito, fedifrago, donnaiolo impenitente, infido; o del fratello, avido di denaro; o della bella e facile Hattie, il passo è breve. Questo perché Anthony Gilbert non fa della psicologia la sua arma vincente ma la tensione, di cui è padrone: utilizza il vecchio trucco dell’ atmosfera (nebbia fitta, sera buia, posti deserti, casa lugubre rischiarata da candele, polvere dappertutto) e lo combina con una storia dai rilievi dark: una moglie depressa, che ha tentato già una volta il suicidio, nelle mani di un marito che sarebbe ben felice se morisse, e che si è affidata per la sua difesa ad un fratello a cui sta a cuore non la felicità della sorella ma i suoi soldi, e che sarebbe ben contento se riuscisse a dimostrare la colpevolezza del cognato; dei sonniferi utilizzati troppo facilmente; delle lettere segrete; la presenza di un’altra donna, che sarebbe ritornata per prendere il suo posto, dichiarata dalla malata a Nora; la morte in circostanze estremamente sospette della donna. E poi tutto quello che viene dopo, con l’infermiera, che nelle intenzioni dell’assassino avrebbe dovuto farsi gli affari propri e che invece, per un articolo giornalistico, viene a trovarsi al centro di un bersaglio ideale. E la corsa contro il tempo per salvarla. Il romanzo ha un grado di tensione abbastanza alto, non perchè si ignori l’identità dell’assassino che è palese, quanto perchè si deve trovare nel più breve tempo possibile l’eroina che sta per essere uccisa in quanto testimone oculare. Però, nel momento in cui l’eroina viene salvata, il romanzo perde mordente, perchè tutti hanno capito chi sia l’assassino.

Il romanzo che è del 1945, ambienta la storia a guerra finita, mentre non lo era ancora: in questo, storia com’è strutturata (il buio, la nebbia, la morte contrapposti alla liberazione della ragazza e all’amore) mi farebbe anche pensare ad un rimando alla guerra che si stava vivendo e che volgeva al termine, ad una rappresentazione di stati di animo contrapposti (paura, terrore – coraggio, serenità).

Inoltre paga secondo me un tributo a tutta una cinematografia che era viva in quegli anni: come non fare un pensiero a film come Suspicion, “Il Sospetto”, del 1941, tratto dal romanzo di Berkeley, Before The Fact, 1932, in cui Cary Grant è sospettato dalla moglie, Joan Fontaine, di volerla avvelenare per impadronirsi dei suoi soldi, che ebbe un clamoroso successo di pubblico? Celebre in quel film l’inquadratura di Cary Grant che sale le scale portando un bicchiere di latte che si sospetta avvelenato, in cui, per concentrare su di esso l’attenzione del pubblico, Hitchcock fece mettere una luce. Del resto anche nel romanzo, è come se l’inquadratura del lettore venisse messa a fuoco sul bicchiere e sui sonniferi posti vicino al capezzale della malata.

Interessante è anche notare come la scrittrice avesse inventato un proprio personaggio principale che non è, come era d’uso in quei tempi, un dandy (Philo Vance), un aristocratico (Lord Wimsey), un poliziotto acculturato (l’ispettore Sir John Appleby di Scotland Yard), il figlio di un ispettore di polizia di New York (Ellery Queen), un Alto Commissario di Polizia newyorkese (Thatcher Colt), ma un avvocatucolo, sempre in bilico tra onestà e disonestà, che utilizza metodi non ortodossi, un po’ come Perry Mason per inchiodare i colpevoli, che a noi assomiglia, ma parecchio, a John J. Malone, avvocato molto amante dell’alcool  e dei sigari e molto poco ricercato nel vestire! Del resto il primo romanzo di Craig Rice con Malone è del 1939, e quindi potrebbe anche essere che sia stato il riferimento ideale per la Malleson.

Infine una nota sull’edizione italiana: pur non essendovi alcun riferimento al traduttore/traduttrice che tradusse il testo, e pur sapendo che, come era prassi ne I Gialli del Secolo, i testi erano alquanto “tagliati”, bisogna dire che il montaggio delle varie parti fu tale che, anche rabberciato, il romanzo mantiene inalterata la tensione e si legge benissimo, in un italiano notevole (erano comunque sessant’anni fa). Il titolo, fa riferimento ad una frase tradotta a pag. 48: “….La porta non dev’essere mai aperta”, che s’intende riferita al fatto che chi si interessa ad un reato compiuto da altra persona, facendone menzione pubblica, finisce per pagarne le conseguenze (ovviamente questo è il pensiero dell’omicida che sta minacciando di morte Nora). Ma potrebbe avere anche altro significato: essere il riferimento alla porta della camera della moribonda che non doveva essere varcata quella notte, a prezzo di pagarne le conseguenze.

Pietro De Palma

Anthony Gilbert : La porta proibita (Don’t Open The Door, 1945) – I Gialli del Secolo N° 101, Casini, 1954ultima modifica: 2016-01-06T00:17:16+01:00da lo11210scriba
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