Nell’ambito di sceneggiati tratti da romanzi gialli, si può dire che quello tratto da Fire, Burn!, costituisca un caso si può dire unico. Il perché è presto detto: mentre tutti gli altri sono stati conformati nel tempo a romanzi già editi in italiano – e non parlo solo dei Carr (La dama dei veleni, tratta da The Burning Court; Tre colpi di fucile, tratto da Till Death Do Us Part; L’Occhio di Giuda tratto da The Judas Window), ma anche dei Maigret di Gino Cervi, o del Philo Vance di Albertazzi (qui, addirittura proprio lui, nell’introduzione al Caso Benson , aveva in mano uno degli Omnibus Mondadori in cui furono pubblicate le avventure di Philo Vance)– Fire, Burn! prima del 1979 non godeva di una traduzione italiana e quindi si deve apprezzare come la sceneggiatura di Vieri Razzini fosse stata approntata sull’originale inglese.
Lo sceneggiato, salvo alcune personalizzazioni cui accenneremo, è fedele all’originale.
Innanzitutto, l’ambientazione è curata fino nei minimi particolari; e anche la recitazione, e la descrizione delle scene non lascia adito a dubbi. Persino la caratterizzazione della figura di Volcano con l’occhio di vetro, anche se Volcano nel romanzo è calvo mentre qui è ricciuto, e l’occhio di vetro nel romanzo è il destro mentre qui è il sinistro.
Nel romanzo di Carr non c’è nessuna Camera Chiusa, ma nello sceneggiato sì.
Viene posta alla fine della seconda puntata, ultima scena, e quindi con essa comincia la terza puntata. La vittima sarebbe quel Freddie Derbitt che qualcuno pensava potesse essere l’amante segreto di Margaret Renfrew. La sceneggiatura è evidente per quale motivo inserisca questa variazione: per accrescere l’interesse del pubblico e motivarlo a vedere la terza parte. La Camera Chiusa è una classica: porta e finestra chiuse dall’interno, nessun passaggio segreto ,eppure la vittima ha un foro sulla fronte.
Un’altra variazione è data dall’inizio e dalla fine dello sceneggiato: mentre il romanzo comincia con Cheviot che sta recandosi a Scotland Yard in taxi, lo sceneggiato presenta un prologo con un delitto del tutto inventato: Lord Davenport sul par di un campo da golf sta per imbucare la pallina e con lui stanno due amici e sua moglie. All’improvviso il lord cade schiantato al suolo: una pallottola lo ha colpito al cranio, senza che nessuno abbia sentito lo sparo. Ovvio pensare ad un’arma munita di silenziatore, ma per colpirlo da lunga distanza non sarebbe stato facile – perché tutt’attorno non ci sono punti da cui sparare – e per di più l’esame balistico ha dimostrato che è stato colpito con una traiettoria dal basso in alto. Insomma un delitto impossibile.
Ma perché si pensò di introdurre un episodio assolutamente originale ed inventato in questo mini sceneggiato? Un’idea l’avrei. La scena iniziale è simile a quella di un altro sceneggiato che aveva avuto un enorme successo anni prima, tratto da un lavoro di Durbridge: Giocando a golf una mattina (Game for a Murder).
Altra variazione ancora, cioè un particolare che non esiste nel romanzo ed è stato aggiunto da Razzini è l’orologio da panciotto che Cheviot si trova addosso quando rinviene nel taxi e che è stato acquistato da lui nel 1829, nel corso della sua avventura nel passato. Questo particolare, sicuramente affascinante, con cui si conclude lo sceneggiato è un altro escamotage per finire in bellezza, donando anzi accentuando l’aspetto fantastico dell’opera. Carr ne sarebbe stato deliziato.
Altra variazione inventata è quella dell’immagine di Flora Gray. Cheviot, nel taxi, sta leggendo un paragrafo in un libro di storia trovato nella biblioteca di Lord Davenport, dedicato ai personaggi del regno di Giorgio IV e trova la foto di Lady Flora Gray. Mentre la sta guardando, ecco che perde coscienza e si ritrova sbalzato nel 1829. Tutto questo nel romanzo non esiste. Perché è inserita? Avrò io una deformazione personale nata dalla mia conclamata cinefilia e dall’amore degli sceneggiati d’epoca, avrò io la tendenza a richiamarmi e richiamare la memoria altrui a dei particolari che ai più sfuggono, ma questo fissare una foto e ritrovarsi sbalzato nel passato, mi sembra tanto, troppo simile a quello che accade al protagonista in The Burning Court, quando in treno l’immagine della celebre avvelenatrice, la Marchesa di Brinvilliers sembra troppo simile a quella di una donna del presente.
Poi vi sono delle variazioni che qui e là modificano qualcosa, senza avere un riflesso importante: innanzitutto la scazzottata. Quando Cheviot accusa Volcano di truffare e raggirare i giocatori mediante una roulette truccata, dal parapiglia generato dalla rottura del tavolo da gioco e dalle molle che escono fuori e dai sibili di aria che si sentono, testimoniando il trucco ad aria compressa che inclinava il piano con la pallina in modo che andasse a rotolare dove si voleva che rotolasse, si genera una scazzottata. Il romanzo ne accenna in due righi e basta.
Poi c’è la sparizione del registro del 1829, quello in cui erano annotati gli acquisti di Volcano in cambio di fiches, che nel romanzo non sparisce affatto, anzi viene ritrovato con la perquisizione seguita all’arresto di Volcano.
Infine, mentre lo sceneggiato è incentrato esclusivamente sulla vicenda personale di Cheviot e sugli sviluppi delittuosi e sentimentali, il romanzo è uno spaccato intenso ed appassionante dell’epoca. C’è persino una ininfluente rivolta per l’abolizione del dazio sul grano, primo assaggio delle riforme che vennero varate negli anni successivi .
Pietro De Palma