La morte sa leggere

Le liste fondamentali delle migliori camere Chiuse – 1

La lista di Edward D. Hoch

 

Nel 1981 Ed Hoch, che aveva pubblicato un’antologia di racconti con Camere Chiuse dal titolo Diagnosis: Impossible. The problem of Dr. Sam Hawthorne, volendo completarla con un’introduzione ad effetto, convocò i migliori 17 autori e critici di romanzi polizieschi d’America, affinchè stilassero una classifica ideale dei migliori romanzi con delitti impossibili.

Ecco, a seguire, la lista delle 15 migliori Camere Chiuse, così come fu stilata in quell’occasione:


 1) John Dickson Carr –  The Three Coffins

 2) Hake Talbot – Rim of the Pit

 3) Gaston Leroux – The Mystery of the Yellow Room

 4) John Dickson Carr – The Crooked Hinge

 5) Carter Dickson – The Judas Window

 6) Israel Zangwill – The Big Bow Mystery

 7) Clayton Rawson – Death From a Top Hat

 8) Ellery Queen – The Chinese Orange Mystery

 9) Anthony Boucher – Nine Times Nine

10) Carter Dickson – The Peacock Feather Murders

11) Ellery Queen – The King is Dead

12) Helen McCloy – Through a Glass Darkly

13) Carter Dickson – He Wouldn’t Kill Patience

14) Randall Garrett – Too Many Magicians

15) John Sladek – Invisible Green 

 

Come riferisce John Pugmire nel suo ottimo articolo dal titolo “A Locked Room Library”, essi furono “invitati a nominare ciascuno le loro opere preferite, fino a dieci in numero, ordinati in ordine di preferenza”.

John aggiungeva che, nonostante numerosi autori francesi avessero scritto notevoli Camere, solo un romanzo francese fu inserito in questo elenco (al 3° posto): Gaston Leroux – The Mystery of the Yellow Room. Il romanzo, che era stato nominato da Carr stesso come il più grande romanzo di Camera Chiusa che fosse stato scritto (Carr era molto modesto: infatti, quando gli chiedevano di nominare romanzi che in qualche modo lui avesse ritenuto dover essere segnalati, non inseriva mai opera proprie, pur essendo il più grande, per numero e qualità di romanzi), stranamente fu il solo francese ad essere inserito. Il motivo addotto da John (che pochissimi romanzi francesi fossero stati tradotti in America) non fa grande onore all’editoria Americana, e agli stessi critici, giacchè si evince che nessuno avesse sentito imprescindibile leggere anche opere che non fossero solo scritte in inglese: se uno ama un genere, e volesse allargare il proprio ambito di letture, potrebbe procurarsi altre opere non tradotte nella propria lingua. Beninteso dovrebbe sapere anche altre lingue, il che ci porta ad altre considerazioni ovvie (!), quando veniamo a sapere che nessuno aveva fatto, nelle proprie graduatorie, nome di autori francesi e delle relative opera, tranne appunto Gaston Leroux e Pierre Boileau (Le Repos de Bacchus), ma solo perchè quest’ultimo probabilmente era servito  a Hilary St.George Saundersda base per il suo romanzo, molto simile, The Sleeping Bacchus.

Ora, questa mancanza a me sembra molto strana: è possibile davvero che nessun grande autore e critico americano, invitato in quell’occasione ( Robert Adey, Jack Adrian, Jacques Barzun, Jon L. Breen, Robert E. Briney, Jan Broberg, Frederick Dannay, Douglas G. Greene, Howard Haycraft, Edward D. Hoch, Marvin Lachman, Richard Levinson & William Link, Francis M. Nevins, Jr., Otto Penzler, Bill Pronzini, Julian Symons, and Donald A. Yates ), avesse letto altri romanzi di autori francesi? Possibile che nessuno di loro avesse letto La Maison Interdite di Michel Herbert & Eugene Wyl ? O La Maison qui Tue di Noel Vindry? O Les Quatre Vipères di Pierre Very?

Non con queste motivazioni, ma comunque sostanzialmente, anche John Pugmire sem lo chiese e lo rese noto ai suoi lettori:

“This was scarcely surprising for – with the exception of Leroux’s work and Pierre Boileau’s “Repos de Bacchus”– almost none had been translated into English.  By contrast, a great many English-language works had been, and still are, routinely translated into French, which gives French readers a far wider range of choice than that available to Anglophones”

( http://mysteryfile.com/Locked_Rooms/Library.html ).

Non capisco perché in America nessuno avesse sentito il bisogno di colmare le proprie lacune relative a romanzi stranieri: in questo credo che noi italiani siamo più aperti al nuovo, forse perché, a differenza dei francesi o degli americani, che hanno sfornato romanzi polizieschi di assoluto rilievo, abbiamo prodotto poco e quindi abbiamo assimilato da altri; loro invece, sfornando molto, non hanno sentito uguale bisogno di conoscere quello che all’estero altri avessero scritto (non negando che qualcuno comunque questo bisogno impellente l’abbia sentito!). Così, sia i francesi che gli americani non sanno che anche un italiano, Franco Valiati, nel lontano 1939, pubblicò un romanzo: Il mistero dell’idrovolante, contenente una Camera Chiusa abbastanza interessante.

Possibile che solo presso di noi, questi autori e questi romanzi in anni molto lontani, prima della seconda guerra mondiale, fossero stati tradotti e pubblicati, mentre altrove, cioè in America, non sapessero neanche chi fossero?

E’ il dubbio che chiunque, che fosse a conoscenza di ciò, si chiederebbe, se avesse un minimo di intuito (!).

Un amico blogger americano, e bookseller tra l’altro, John Norris, mi ha esternato il suo pensiero in merito alla questione, sottolineando, comunque che quanto da lui detto è sempre una personale opinione, e che non è detto che per forza ricalchi la verità dei fatti:

“The obvious answer is that those critics cannot read the original language in which the book was written and published. Not everyone cannot read French or German or Italian. Most of us have to wait for a translation to come out.

Why so few translations? I think it has always been about sales.  Long ago US publishers wouldn’t invest in a translated work unless it was proven seller either in the original language or in English translation in the UK.  Also, England has always been the leader in English translated works because of being part of a European marketplace. The US is a huge country and publishers have always ended to think of US books intended for US readers only.

I’d love to read the mystery novels of Noel Vindry, Jean Alessandrini, Gensoul & Grenier.  Waiting for someone to translate them into English, however, and then publish them is almost pointless.  Unless John Pugmire turns his translating talents to these books as well as Halter I don’t think I will ever see those books in English.

I think also some books do not translate well for a foreign audience or are so tied to a particular culture that a US publisher didn’t think the book would appeal to a US reader. They tended to look for universality in content.  In other words: can the US reader relate to the characters, find something similar in the story that will make them want to read the book?  Luckily, times change and we have a much larger readership in the US who are eager and curious to read about other cultures. It’s only fairly recently that US publishers have bothered to think more globally and recognize there are indeed readers who hunger for stories from outside the US simply because they are foreign”.

Al di là degli accorgimenti su quanto da lui detto,  tuttavia devo dire che la sua opinione è pienamente condivisibile: il motivo ovvio per cui nella lista di Hoch non esistevano testi in francese è che quei critici non conoscevano la lingua di Gaston Boca.

Non si può infatti pensare che personaggi di grande apertura mentale come Dannay, Hoch, Boucher, se avessero conosciuto le Camere Chiuse di Boileau, Gensoul & Grenier, Lanteaume, Vindry, volontariamente non le avrebbero incluse nella loro lista.

Lo stesso Barzun che era il solo di origine francese tra di loro, era troppo solo per poter influire, se avesse voluto, nella promozione, in quella lista, di alcuni capolavori francesi.

Nel commento di John  Norris, si legge però anche una sorta di critica alla politica editoriale americana, che ha influito sulle scelte di quel gruppo di critici –(che è la cosa più interessante per quelli di noi italiani, che conoscono, come me, le motivazioni di fondo del mercato editoriale italiano, ma non di quello statunitense).

Ciò che dice John, è che in America fino a qualche tempo fa (non ora, che ci si è spostati su un mercato di tipo globale, ma purtuttavia le tendenze rimangono comunque) si pubblicava in americano qualcosa di straniero che fosse stato preventivamente tradotto in Inghilterra.

Quindi semmai dovremmo chiederci per quale motivo in Inghilterra opere di francesi non son state tanto tradotte! Bah, questo si potrebbe anche spiegare con una certa diffidenza che c’è stata tra i cugini francesi e inglesi, sempre intenzionati gli uni e gli altri ad affermarsi in Europa, e a prevalere anche culturalmente gli uni sugli altri. Si potrebbe quindi pensare che questa tendenza è stata più inglese che francese, se è vero che parecchie opere inglesi e americane sono state tradotte in francese (e comprese nella lista di Lacourbe) e nessuna francese tradotta in inglese (e mancante tranne Leroux e Leblanc) e quindi mancante in quella di Hoch.

Inoltre, e questo credo sia solo una sua opinione personale, John dice che gli editori degli Stati Uniti, per il fatto di operare in un Paese enorme, hanno sempre pensato di avere abbastanza lettori in patria prima di cercarli altrove. Tuttavia, in tempi recenti, questa tendenza è stata messa alla prova da altri critici più illuminati, come John Pugmire, che, amico e traduttore di Paul Halter, ha messo a disposizione anche del pubblico di lingua inglese le opere dell’autore contemporaneo francese di Camere Chiuse, da me recentemente intervistato.

Io tuttavia mi chiedo: al di là di quei due autori famosissimi, comunque, si nota subito l’assenza di un altro grande autore statunitense ma di generalità francesi: Jacques Futrelle. Possibile che non conoscessero anche lui e le sue opere? Mah..

A questo punto faccio delle mie riflessioni sull’approntamento di quella prima lista, annunciando che a questo articolo ne seguiranno altri due: il primo prenderà in esame la lista di Lacourbe e il secondo quella di Scott. Dopodichè, formulerò una mia lista di camere Chiuse, la cui lettura ritengo imprescindibile per qualunque amante del genere.

Quello che si nota (non solo è una cosa che noto io, ma chiunque lo può fare) è che una lista di 15 romanzi, è un po’ striminzita: in pratica dovrebbe essere il meglio del meglio. Tuttavia saltano all’occhio che alcuni dei partecipanti erano famosi scrittori: Dannay (Ellery Queen), Boucher (anche critico), Pronzini, Hoch; gli altri erano critici:  Nevins (critico di Ellery Queen), Greene (critico soprattutto di Carr), Symons (critico che non amava particolarmente il mystery classico) ; e poi una serie variegata di critici: Barzun, Robert Adey (autore del più importante studio in assoluto sulle Camere Chiuse), Jack Adrian (curatore assieme ad Adey di una fondamentale antologia di racconti poco conosciuti), Levinson & Link (produttori televisivi di serie televisive gialle: Colombo, per esempio), Howard Haycraft (estensore di una celebre lista dei 100 migliori gialli del secolo scorso). Tutti però, ad esclusione di Adey, e forse di Greene (che in quanto biografo e massimo conoscitore di Carr doveva comunque essere pratico di Camere Chiuse), erano conoscitori estemporanei di Camere Chiuse e comunque solo di alcune di esse: non credo, infatti, che Symons, che pure è stato uno dei più importanti critici in assoluto, o Boucher, fossero esperti di Camere Chiuse; semmai conoscevano bene alcuni autori di camere Chiuse.

Infatti, la lista risulta formata da opere di autori molto conosciuti, e le ripetizioni di opere di alcuni di loro, può da me essere ascritta, più che alla reale ed indiscussa qualità delle stesse, ad una tendenza di esaltare quelli che erano ritenuti i capisaldi della Crime Fiction statunitense. L’unica ripetizione su cui non avrei obiettato, cioè quella di opere di Carr, sarebbe stata intoccabile solo nel caso in cui la lista avesse compreso tutti gli autori e le opere veramente fondamentali nel genere. E allora, nella quantità, sicuramente più titoli di Carr sarebbero stati legittimi. Qui, invece, basterebbero solo le due fondamentali: The Hollow Man e The Judas Window.

Infatti non vedo tra le opere, alcune Camere americane molto importanti, anche storicamente, ma non molto conosciute (perché i loro autori non lo sono) presso il grande pubblico: per es. Into Thin Air (1928) di Winslow & Quirk, e i romanzi del genere di autori vandiniani: The Canary Murder Case (1927) e The Kennel Murder Case (1933) di S.S. Van Dine; Obelists Fly High (1935) e Arrogant Alibi (1938), di Charles Daly King;  The Man from Tibet (1938) di Clyde B. Clason; The Red Right Hand (1945) di  Joel Townsley Rogers Non stupiamoci quindi se mancano opere come The Shade of Time (1942) di David Duncan, o ancora The Devil Drives (1932) di Virgil Markham!

Mancano poi – e questo è, assieme alla mancanza di autori francesi, il dato che salta subito agli occhi – opere importanti di importanti autori britannici, neozelandesi, australiani, etc. cioè autori del Commonwealth britannico:

The Woman in the Wardrobe (1951) di A. & P. Shaffer; Whisle Up The Devil (1953) di Derek Smith; The Gilded Fly (1944) e The Moving Toyshop (1946) di Edmund Crispin; Suddenly at His Residence (1946), Death of Jezebel (1948), Tour De Force (1955), di Christianna Brand; Off With His Head (1957) di Ngaio Marsh; almeno, Why Didn’t They Ask Evans? (1935) ,  Murder in Mesopotamia (1936), Murder for Christmas (1938), di Agatha Christie; The Layton Court Mystery (1925) di A. Berkeley; The Rynox Murder Mystery (1930) e  The Polferry Riddle Mystery (1931) di Philip MacDonald; Policeman’s Evidence (1938) e Sealed Room Murder (1951), di Rupert Penny ; almeno, Murder of a Lady (1931), The Case of the Green Knife (1932),  The Case of the Gold Coins (1933) , The Toll House Mystery (1935), di Anthony Wynne; Sudden Death (1932) di  Freeman Wills Crofts.  Per non parlare di quegli altri autori britannici meno conosciuti ma le cui opere (talvolta anche una sola)  bastano ancora a ricordarli: per es. The Death of Laurence Vining (1924) di Alan Thomas, o Darkness at Pemberley (1932) di T.H.White.

In altre parole, con l’esclusione di Zangwill (iniziatore del genere si può dire) e Leroux (accreditato da Carr), la lista risultava formata solo da opere di autori statunitensi, conosciuti. Viene il sospetto che quei critici e scrittori che estesero la lista delle loro preferenze, non conoscessero parecchie altre opere. Ne derivava un’idea di base assolutamente fuorviante: che solo in America si fossero scritte decenti Camere Chiuse. E per di più di pochi conosciuti autori: un absurdum!

Quindi, in definitiva ci troviamo dinanzi ad una lista di opere di autori americani (con due esclusioni) che per sua natura non poteva ambire ad essere indicata come “la lista di riferimento”.

Niente da eccepire sul primo posto conferito a The Three Coffins /The Hollow Man, di Carr: per l’atmosfera che vi è contenuta, la complessità degli enigmi e la celeberrima Conferenza del Dottor Fell,  a ben donde può meritare il primo posto. Tuttavia, se qualche anno fa la posizione di questo romanzo era di supremazia netta, attualmente altri critici (tra cui il sottoscritto) propongono, per l’uguale genialità dell’enigma, per l’atmosfera e per l’assoluta semplicità di spiegazione di un fatto assolutamente impossibile, un altro romanzo di Carr (pseudonimo Carter Dickson), che in questa lista figura al quinto posto: The Judas Window.

Al secondo posto figura Rim of the Pit di Hake Talbot: anche a proposito di questo romanzo mi permetto di osservare che per me (ma ho appurato che altri critici la pensano alla stessa maniera, come Mauro Boncompagni e Philippe Fooz) un posto l’avrebbe dovuto guadagnare The Hangman’s Handyman di Hake Talbot, primo dei due romanzi scritti dall’autore, e che manca invece clamorosamente. A parer mio si sarebbe dovuto preferirlo all’altro, in ragione della atmosfera del romanzo assai densa, come Rim of The Pit, ma anche della Camera Chiusa, assolutamente geniale, che ispirò molte altre dopo; e della impossibilità della maledizione (un cadavere che si decompone in poche ore) spiegata con una soluzione  straordinariamente allucinata eppure assolutamente semplice da comprendere, a differenza dell’altro romanzo, che a fronte di tanti problemi accumulati durante la lettura, non riesce a dare loro una spiegazione logica e comprensibile, spesso arrampicandosi sugli specchi. Il perché fosse stato inserito Rim of the Pit e non l’altro romanzo, è da ricercare nel fatto che la sua qualità letteraria era stata sponsorizzata nientepopodimeno che dallo stesso Carr, che si era dilungato nelle sue qualità. Siccome Carr era il numero uno nella considerazione di quei critici (e lo è davvero, a tutt’oggi, il più grande in assoluto a mio parere), ne deriva che anche i suoi giudizi sono stati accettati senza discutere.

Sui romanzi posti nelle posizioni dal 3^ al 7^ non pongo bocca, tranne che a parere mio, forse sarebbe stata più giusto uno scambio tra il 4^ ed il  6^: Zangwill, storicamente è molto più importante del romanzo di Carr presentato, anche perché per l’epoca in cui fu scritto, la soluzione fu assolutamente rivoluzionaria; e lo stesso romanzo di Rawson, le cui Camere Chiuse, assolutamente straordinarie, sullo stesso piano di immaginazione di quelle di Carr più blasonate, perdono qualcosa solo sul piano dell’atmosfera: per questo io l’avrei inserito al 5^ posto, mentre The Judas Window, per quanto detto precedentemente, l’avrei affiancato, al primo posto, a The Hollow Man.

Arriviamo ad Ellery Queen: per me i due romanzi proposti, The Chinese Orange Mystery e The King Is Dead sarebbero potuti anche non esserci!

Comprendo che qualcuno mi considererà pazzo, ma a me quei romanzi non sono mai sembrati significativi, nel novero delle Camere Chiuse: innanzitutto, a voler essere pignoli, The Chinese Orange Mystery, camera chiusa proprio non è perché la porta dell’anticamera non è chiusa: semmai sono le situazioni che introducono una situazione sconcertante; inoltre The King is Dead, non è proprio una grande Camera Chiusa.  Se proprio si fosse voluto inserire un romanzo blasonato, si sarebbe potuto menzionare The Door Between , l’unica Camera Chiusa propriamente detta di Ellery Queen. Ma si sa, a quella riunione partecipava Dannay (il membro più estroso dei due autori celati dietro il marchio Ellery Queen) e Nevins (autore della più celebrata opera di critica su Ellery Queen) e Symons : si potrebbe arguire quindi per quale motivo potessero essere stati scelti proprio quei due romanzi: il primo fa parte della prima fenomenale decina, il secondo della fase che piaceva tanto a Symons, quella di romanzi con una base più psicologica che deduttiva.

Idem per Boucher, grandissimo critico e notevole scrittore. Tuttavia  Nine Times Nine è pur sempre una gran bella Camera Chiusa, anche per i riferimenti alla Conferenza di Fell. Tuttavia rilevo per Boucher lo stesso quid valevole per Dannay: per essere veramente imparziale quel gruppo di critici, non avrebbe al suo interno dovuto comprendere due autori i cui romanzi sarebbero figurati nella lista.

Sui romanzi alle posizioni 10 e 11, non ho nulla da dire. Anzi, voglio aggiungere che io avrei inserito un altro grande romanzo di Carr, stranamente qui assente: The White Priory Murders, grande Camera Chiusa che per la prima volta poneva in essere il grande trucco del prato innevato, diventato quasi un tratto riconoscibile della produzione di Carr e poi variato molte volte (sabbia, terreno, terra battuta di un campo da tennis, etc..).

Ecco poi Helen McCloy. Il suo Through a Glass Darkly è stata da molti considerata una Camera Chiusa: a parere mio è un romanzo al limite del fantastico, la cui Camera Chiusa è anche abbastanza semplice, e non ha nulla di spettacolare, tanto da essere considerate una delle migliori 15 Camere Chiuse in assoluto. Io l’avrei sostituita sicuramente con un romanzo veramente epocale, purtroppo assente in Italia, The Woman in the Wardrobe, dei Fratelli Shaffer, oppure con Speak Up The Devil altro romanzo veramente spettacolare di Derek Smith (che contiene la terza conferenza sulle Camere Chiuse dopo quelle di Fell in The Hollow Man di Carr, e di Merlini in Death From a Top Hat di Rawson), romanzi di cui quegli autori non hanno parlato proprio.

Su He Wouldn’t Kill Patience, nulla da eccepire.

Su Garrett, potrei dire qualcosa, forse, ma siccome il romanzo è veramente unico, mi astengo.

 

Infine eccepisco sull’ultimo titolo: posto che la candidatura di John Sladek mi sembra sacrosanta, io avrei preferito a Invisibile Green, il romanzo successivo, Black Aura, di una qualità più alta e che contiene ben due problemi veramente notevoli risolti con grande nonchalance.

 

 

Pietro De Palma

 

P.S.

Tutti i romanzi componenti la lista di Hoch originale, sono stati tradotti da Mondadori e da Polillo.

Le liste fondamentali delle migliori camere Chiuse – 1ultima modifica: 2013-09-24T22:20:43+02:00da
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