La morte sa leggere

Bill Pronzini – Barry N. Malzberg : Caccia al mostro (The Running of Beasts, 1976) – I Classici del Giallo Mondadori, N.1291 del Febbraio 2012

Bill Pronzini – Barry N. Malzberg : Caccia al mostro (The Running of Beasts, 1976) – traduz. Fenisia Giannini – Con una postfazione di Mauro Boncompagni – I Classici del Giallo Mondadori N.1291 del Febbraio 2012.

Devo riconoscere che se non avessi acquistato e letto il romanzo poliziesco in vendita in questi giorni, presso le edicole in Italia, non avrei mai saputo chi fosse Barry N. Malzberg. L’altro autore, in compenso, sì che lo conoscevo! E chi non conosce Bill Pronzini?

Mauro Boncompagni, che firma le note della Postfazione, parla dei due ampliamente, e cita fatti e circostanze che, come mi ha confidato in privato, ha saputo dai due autori, che conosce (almeno Bill Pronzini lo so di sicuro). Ne scaturisce un ritratto vivido ed appassionante. Non nego che grazie alle note di Mauro (che conosco anch’io abbastanza bene), mi sia venuta voglia di leggere il saggio dedicato da Malzberg a Cornell Woolrich, suo amico: Mauro ne parla come il pezzo migliore mai scritto su Woolrich. Non ho difficoltà a credervi, giacchè in tanti anni che l’ho seguito in Italia da lontano (e da qualche tempo sono anche in costante e proficuo contatto diretto con lui), quando Mauro ha consigliato una cosa, era da prendere sicuramente in visione.

Tempo fa, mi scrisse e, non mi ricordo più a ragione di cosa, mi disse che a distanza di qualche mese sarebbe uscito un Pronzini, che date le mie letture, avrei dovuto sicuramente procurarmi, nel caso non fosse già in mio possesso. Premetto che Mauro sa che l’Hard-boiled mi piace ma non eccessivamente (almeno solo i capisaldi) e che la mia attenzione è rivolta quasi esclusivamente agli autori di Mystery, Thriller e Polizieschi psicologici. Per questo, quando è stato annunciato, ho detto chiaro e tondo al mio edicolante, che quando fosse uscito il romanzo, mi avrebbe dovuto mettermi una copia da parte.

Il romanzo in questione è The Running of Beasts. E’ un thriller e su questo non ci piove. Ma non è un thriller e basta; è un capolavoro, di thriller.

La storia non è di per sè originalissima: in una cittadina americana c’è una serie di morti: tre donne sono state uccise e sventrate. Uno psichiatra, il Dottor Ferrara, pensa che l’assassino sia uno schizofrenico con personalità multiple: in parole povere, qualcuno che uccide forse neanche poi sapendo di averlo fatto, o ricordandosi schegge di memoria che non riesce a sistemare adeguatamente nella sua mente.

Fatto sta che cinque persone vogliono, per motivi propri, mettere le mani su quell’assassino: Daniel Smith, tenente di polizia di stato; Steven Hook, ex attore alcoolizzato; Jack Cross, giornalista rampante; Keller, poliziotto locale; Valeria Broome, nota giornalista che è nata nella cittadina. Il fatto è che, se l’attenzione viene proprio concentrata su queste persone, è perchè evidentemente una di esse è l’assassino. Già in questo, i due autori divergono dalla solita indagine: normalmente ai cinque si sarebbe dovuti arrivare poco alla volta. Invece qui, i cinque attori sono già sulla scena sin dalle prime pagine: sono presentati singolarmente, nelle loro storie, nelle loro debolezze e nelle loro aspirazioni.

E quasi subito i cinque cominciano ad essere attratti vicendevolmente: Cook si innamora (corrisposto) di Valeria Broome, Keller comincia a sospettare di Cook, ma più per partito preso che non per convinzione basata su prove; e Smith comincia il suo duello a distanza con Keller. Che nasconde a sua volta degli scheletri nell’armadio: ha ucciso un dimostrante molti anni prima “per eccesso di zelo” se non “di violenza” e dopo ha preferito rifugiarsi nella tranquilla cittadina di Bloodstone per rifarsi un nome.

Strani questi nomi, non è vero? Bloodstone, richiama Blood.

Ma non è il solo strano. Non dico di più.

Fatto sta che dopo un po’ i morti aumentano: c’è un tentativo di omicidio (strano), uno strano avvistamento, e poi due omicidi, ancora con le stesse caratteristiche: due donne sventrate, e poi un taglio a forma di losanga con un coltello su una coscia.

Quello che si nota è il modo per accentuare la tensione: gli attori sono presentati singolarmente, con dovizia di particolari, ed un certo numero di pagine. La quantità di spazio di battute non è secondario: infatti il ritmo è dato proprio dalla progressiva diminuzione dello spazio dato nel libro a ciascun personaggio. Prima grande, poi – poco alla volta – sempre più ristretto: il personaggio di turno viene nominato, fa qualcosa e subito l’azione e l’attenzione dei due autori passa su un altro. E tutto ciò, secondo il fluire di una catena di avvenimenti, l’uno dopo l’altro, l’uno conseguente ad un altro, magari che sembravano slegati, ma poi piano piano tendono a svilupparsi secondo un ordine prestabilito, quello dato dal sospetto che tende a materializzarsi ad un certo punto. E la tensione diventa spasmodica quando i paragrafi, ognuno dedicato ad un diverso personaggio, diventano quasi dei flashback.

Ma è davvero lui l’assassino? Questo è il punto.

Perchè Pronzini e Malzberg tendono sempre, nel momento in cui puntano il riflettore, a fare un passo indietro e a dire che forse il riflettore sarebbe dovuto essere puntato su un altro. Insomma, tutto ed il contrario di tutto. E quando la prova è data, e l’assassino è individuato, e la caccia parrebbe concludersi, con un cambio di scena veramente strabiliante, l’assassino viene identificato in un altro. Che parrebbe aver capito di essere lui l’assassino (le famose personalità multiple), e muore. Tutto finito? No. Perchè con un finale doppio, i due dimostrano ancora una volta che non bisogna mai fidarsi delle apparenze. Fatto sta che “The end” del romanzo è veramente spiazzante, come un finale di un romanzo di F. Brown o di Thomas Harris quasi. Il finale vero ti rimane sullo stomaco.

Quello che mi piace sottolineare è la cosiddetta Mimesi stilistica che Pronzini & Malzberg adottano: nel momento in cui identificano l’assassino (che poi è quello vero) lo sottovalutano, lo presentano con termini e descrizioni che tendono a far avvalorare nel lettore il fatto che l’assassino non possa essere lui, nonostante le prove a suo carico parrebbero schiaccianti. Sembra quasi un convincimento sub-liminale. E nel momento in cui puntano il riflettore sul finto assassino, lo presentano in maniera tale che il lettore si convinca che proprio lui è l’assassino e non altri. L’operazione di mimesi è necessaria per preparare la sorpresa finale, che non avrebbe la forza di un pugno nello stomaco, se non si desse per scontato che l’assassino fosse già uscito di scena.

Mi piace ricordare infine che Bill Pronzini e Barry Malzberg devono aver guardato almeno a “Murder Gone Mad” di Philip MacDonald: la giornalista richiama identica altra giornalista lì presente, ma non ha la stessa funzione e lo stesso ruolo; e se le atmosfere sono rarefatte in ambedue i romanzi e le vittime sono uccise col favore delle tenebre, è anche da dire che MacDonald genera tensione solo con l’atmosfera (come i grandi maestri del passato, per es. Connington o Rinehart o Rufus King), mentre i due nostri ricorrono anche a procedimenti stilistici e tecnici. Inoltre è da indicare la capacità visionaria di Malzberg (bene sottolineata da Boncompagni nella prefazione) che in più d’una occasione, con le sue descrizioni barocche, convince il lettore della pazzia dell’assassino.

Un romanzo assolutamente da leggere.

Pietro De Palma


Bill Pronzini – Barry N. Malzberg : Caccia al mostro (The Running of Beasts, 1976) – I Classici del Giallo Mondadori, N.1291 del Febbraio 2012ultima modifica: 2012-02-22T08:26:00+01:00da
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