Yokomizo Seishi : L’ascia , il koto e il crisantemo ((犬神家の一族, Inugamike no Ichizoku, 1950-1951). Traduz. dal francese di Sara Cantoni. Il Giallo Mondadori Oro 1969 del 1986

koto

Sellerio da qualche anno sta pubblicando romanzi di Yokomizo Seishi, uno per anno: i primi due sono stati a mio avviso molto buoni, il terzo, sarà che è formato dall’unione di due racconti, non mi ha colpito poi tanto. Comunque sia, prima che ci pensasse Sellerio, Mondadori aveva molti anni fa pubblicato un romanzo di Yokomizo, senza peraltro farne seguire altri. La ragione è una sola: Mondadori non aveva pensato ad una serie di romanzi di questo scrittore ma aveva sfruttato l’edizione francese de Il Clan Inugami (La Hache, le Koto et le Chrysanthème)  traducendola in italiano.

Il romanzo, fu prima serializzato in magazines nel 1950-1951 e poi pubblicato successivamente. Dal romanzo è stato tratto un celebre film del cineasta giapponese Kon Ichigawa.

Il romanzo è scritto e ambientato nel periodo successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il detective  Kosuke Kindaichi viene raggiunto dalla missiva di un certo Wakabayashi Hoichiro che lo prega di raggiungerlo a Nasu (Prefettura di Tochigi, Isola di Honshu), una piccola cittadina sul lago omonimo, per investigare su una successione ereditaria che secondo il mittente potrebbe essere alla base di una faida. Appena arrivato all’albergo, Kosuke scopre che Wakabayashi Hoichiro è stato ucciso (si scoprirà avvelenato). L’evento gli conferma i timori della vittima. Interrogato dalla polizia, ben presto diventa un alleato prezioso del Commissario Tachibana che ben conosce la fama dell’investigatore giapponese. Ma perchè è stato ucciso? Allora nessuno lo sa, però un dato di fatto è che la vittima si sarebbe salvata e probabilmente avrebbe rivelato a Kosuke i suoi timori circa

Ben presto si scopre che alla base del tutto, è la lotta per l’eredità del Clan Inugami: il vecchio Inugami Sahee è morto lasciando tre figlie Matsuko, Takeko e Umeko, le cui madri non sono state sposate dal vecchio, ma sono state l’oggetto dei suoi piaceri sessuali, le sue concubine insomma, ognuna alloggiata in un padiglione diverso del palazzo in stile occidentale. Matsuko non ha marito, mentre le due sorelle sì: Toranosuke di Takeko, Kokichi di Umeko. A complicare le cose, ci sono anche i nipoti del vecchio: Sukekiyo, figlio di Matsuko; Suketake e Sayoko, figlio e figlia di Takeko e Toranosuke; Suketomo, figlio di Umeko. E come se non bastasse, si saprà che a condividere le pretese c’è anche Aonuma Shizuma figlio di Aonuma Kikuno, la quale era stata l’unica donna amata dal vecchio Sahee, molto più giovane di lui, costretta a nasconders dopo aver partorito un bambino che sarebbe stato naturale erede del vecchio Sahee, magnate industriale, e quindi inviso alle tre zie. A lei erano stati regalati dal vecchio gli emblemi d’oro della famiglia: un’ascia, un koto e un crisantemo. Chi li avesse avuti, avrebbe avuto titolo di amministrare il patrimonio del Clan. Ma la donna, raggiunta dalle tre figlie del vecchio, era stata costretta a consegnare i tre oggetti, per evitare che il figlio venisse ferito o ucciso dalle tre donne.

Ad aumentare all’inverosimile l’astio e la lotta di potere esistente all’interno del Clan, sarà il testamento di cui è depositario il notaio Furudate, che assegna il compito di dirimere la contesa, stabilendo chi sarà ad ereditare la maggior parte del patrimonio, alla giovane Tamayo, donna di grandissima bellezza, figlia adottiva di Sahee, in quanto nipote di Nonomiya Daini, prete scintoista che era stato il principale benefattore di Sahee quando era giovane, oltre ad essere suo amante. Tuttavia sarà il successore di Nonomiya al tempio scintoista, a venire a sapere leggendo vecchi documenti da lui ritrovati, che lei era la figlia di Moriko, figlia a sua volta nata dal rapporto extramatrimoniale tra Sahee e Haruko, moglie di Nonomiya Daini, e quindi nipote di Sahee. Ecco il perchè aveva avuto una parte rilevante nell’eredità: in sostanza chi avrebbe sposato lei tra i tre nipoti maschi, avrebbe ereditato l’impero industriale degli Inugami.

 

Ben presto la donna viene tampinata dai figli di Takeko e Umeko, che cercano ognuno per parte propria, di fare breccia nel suo cuore. Poi c’è anche Sukekiyo, che prima della guerra era quello che era stato più da vicino a Tamayo, ma da quando era tornato, una maschera di gomma ne ricopriva i lineamente orribilmente sfigurati dall’esplosione di una granata, e nessuno nutriva la benchè minima possibilità che una donna bella come Tamayo potesse unirsi ad un uomo ormai orrendamente sfigurato. Ma se con nessuno fosse riuscita sposarsi, a meno che essi non fossero morti e in quel caso lei sola avrebbe ereditato, sarebbe subentrato Aonuma Shizuma, che però non si sapeva che fine avesse fatto.

Ma dei delitti turbano la precaria convivenza nel Palazzo del Clan Inugami: prima Suketomo, viene trovato decapitato: in realtà viene trovata la testa posta uno dei quattro manichini nel giardino dei crisantemi, rappresentanti i 4 personaggi del Teatro Kabuki, mentre il corpo non si trova e verrà trovato solo tempo dopo nel Lago Nasui; poi Sutekake verrà trovato legato ad una sedia e strangolato mediante una corda del Koto; infine Sukekiyo verrà trovato a testa in giù nel lago gelato, con le gambe divaricate a simboleggiare un’ascia. I delitti sembrano ricordare i tre simboli della famiglia.

 

 

 

A rendere l’indagine di Takebana sempre più contorta e difficile, ci si mette poi anche un fantomatico soldato smobilitato, che sotto un nome di comodo alloggia in alberghetti e si aggira nei paraggi della casa, dimostrando di sapere tante troppe cose: chi è? E’ Aonuma Shizuma, il figlio di Sahee e  Aonuma Kikuno, oppure è Sukekiyo , il figlio di Matsuko? Invero ad un certo punto Matsuko ha presentato come suo figlio, l’uomo che indossa una maschera di gomma a coprire l’orrore di un volto devastato dalla guerra, ma nessuno è davvero certo che sia lui. E peraltro anche lui, quando tocca qualcosa che possa conservare le sue impronte, si affretta a cancellarle. Eppure quando è il momento tanto atteso per confermare la propria identità, apporre le impronte delle sue dita perchè Furudate possa confrontarle con le impronte impresse dai tre nipoti prima della guerra, alla fine si conferma che ègli è davvero Sukekiyo. E allora perchè permane quel nonsoche di indefinibile associato alla sua persona? Sarà quella maschera? Sarà il comportamento di Tamayo così strano, quando lo vede? Perchè qualcuno dopo aver decapitato Suketake, si è dato la pena di andare a far sparire il corpo, rischiando di poter essere visto? Chi è che si nascondeva nella prima casa di Sahee, lungo il canneto, lavandosi e mangiando nel bagno, l’unica stanza non visibile dall’esterno? E’ lui che dopo aver salvato la verginità di Tamayo dalle mire di Suketomo – che disonorandola le avrebbe offerto di salvarla sposandola – lo ha ucciso? Perchè ha ucciso Sukekiyo, infilandolo a testa in giù nel ghiaccio?

Toccherà a Kindaichi Kosuke, dirimere i sospetti e squarciare il velo della verità, rivelando il contorto piano di un’omicida nell’ombra e nel contempo salvando chi dei delitti si era autoaccusato.

Non so francamente quale sia il miglior romanzo di Yokomizo, ma questo è un vero capolavoro: un romanzo in cui in panorami da sogno sono perpetrati tre orrendi delitti, in una atmosfera in cui odio, passione, invidia, lussuria si mischiano in una amalgama esplosiva.

Kosuke qui riveste un ruolo che va al di là della mera azione investigativa: egli è il vero centro dell’azione. Infatti, c’è un prologo che precede la scoperta del suo committente ucciso. E’ incentrato su Tamayo: qualcuno infatti ha inscenato dei tentativi di incidente a suo carico e l’ultimo dei quali consiste in un buco fatto nella barca con cui ella rema sulla placida superficie del lago. In sostanza, se Kosuke non fosse accorso a salvarla, il committente della sua venuta a Nasu si sarebbe salvato, e gli avrebbe rivelato i suoi timori circa qualcuna delle persone ereditanti. E quindi lui salvando Tamayo (che sarebbe stata comunque salvata dal suo body guard) decreta la morte non solo di Wakabayashi Hoichiro, ma anche di tutti quelli che verranno dopo. E’ un vero ago della bilancia. E dell’azione del romanzo, che si situa nel periodo successivo alla fine del trattato Russo-nipponico, in un Giappone devastato dalla guerra; e la famiglia Inugami, devastata nei suoi affetti e nei suoi interessi, diventa a sua volta una metafora del Giappone . Peraltro questa devastazione si contrappone alle descrizioni dei luoghi : il lago, il panorama innevato, i giardini giapponesi. E pertanto il paragone che ne deriva è tanto più stringente.

Che sia poi un romanzo derivato in parte da meccanismi tipici del giallo occidentale, è cosa che si capisce immediatamente: la serie di uccisioni in famiglia per eliminare i pretendenti, ricorda tanti romanzi ma tanti, e anche il ritorno dell’erede, elemento caratterizzante del romanzo britannico, qui è presente nella doppia ipotesi che possa trattarsi di Aozuma o di Sukekiyo. E del resto anche se trattasi di elementi tipici del romanzo occidentale, nessuno può contestare che possano essere stati scelti indipendentemente da ciò, perchè nel Giappone feudale quante guerre di successioni e omicidi e devastazioni ci sono state per il potere? E con una guerra appena finita, con tanti morti e dispersi, quanti casi si ebbero anche in Giappone di uomini creduti morti e poi ritornati, che magari ambivano a riprendersi quello che avevano lasciato, partendo per la guerra? Un altro elemento è il continuo mascheramento e smascheramento dei  personaggi secondo un meccanismo tipico del Feuelliton, che potrebbe essere stato assorbito dai romanzi di Gaston Leroux con Rouletabille, innanzitutto i primi due: Le mystère de la chambre jaune, e Le parfum de la dame en noir e già il primo romanzo di Leroux era stato richiamato nella prima avventura di Kindaichi Kosuke, Honjin Satsujin Jiken (本陣殺人事件).

Altri secondo me sono gli elementi che richiamano direttamente o indirettamente il romanzo occidentale:innanzitutto la morte di Wakabayashi Hoichiro, uno degli impiegati dello Studio di Furudate, richiama un romanzo di Agatha Christie. Murder on the Links, romanzo del 1923, in cui a Poirot viene spedita una lettera in cui un tale che lo convoca urgentemente per un caso di vita o di morte, viene ritrovato morto, fu pubblicato a puntate nella traduzione giapponese nella rivista Shin Seinen nel 1929. E l’editore in capo della rivista a quel tempo era Seishi Yokomizo (particolare saputo da Shunichro Futono). Quindi è certo che Yokomizo al momento giusto, sfruttò la trovata della Christie

Poi c’è la questione della maschera: sicuramente Persons Unknown di Edgar Wallace del 1929, era già stato tradotto in giappone, ma un altro riferimento storico è il romanzo Le Vicomte de Bragelonne di Alexandre Dumas, ancora più stringente, in cui elemento centrale è l’ Uomo con la maschera di ferro, un uomo a cui era imposta una maschera di ferro da cui non poteva separarsi mai (tranne in determinati momenti dell’intimità). Un riferimento diretto alla maschera di gomma, sarebbe stato il Fantomas di Sauvestre che indossa per i suoi travestimenti delle maschere di gomma, ma come mi ha riferito Shunichro, questo romanzo francese fu tradotto per la prima volta in Giappone nel 1964 e quindi parecchio dopo la pubblicazione del romanzo giapponese. Ora che Yokomizo abbia letto o no questi romanzi non lo so; certo è che essi in un modo o nell’altro potrebbero aver fornito degli input. A me confesso era venuta in mente un’altra associazione: quella con il romanzo di Claude Aveline, La double mort de Frederic Belot, ma Shunichro Futono, amicizia su Fb,  mi ha riferito che fu per la prima volta pubblicato in Giapponese nel 1983, l’anno dopo la morte di Yokomizo. 

Infine l’ultima associazione che mi permetto di ipotizzare di un romanzo occidentale, è quella che si riferisce ad uno italiano: la Divina Commedia di Dante Alighieri, tradotto per la prima volta dall’italiano e pubblicato in giapponese nel 1922, con il titolo Shinkyoku (letteralmente Canto Divino), nonostante già all’inizio del 900, l’opera circolasse tradotta dal francese o dal tedesco. Fu nel 1922 che la prima traduzione integrale dall’italiano fu approntata da Heizaburo Yamakawa, ma la traduzione più conosciuta e apprezzata fu quella del 1962 di Soichi Nogami. Perchè mi permetto di associare idealmente Yokomizo a Dante? Perchè nel terzo delitto, un uomo è infilato a testa in giù in un lago ghiacciato, con le gambe aperte, a simboleggiare un’ascia. Ora vi sono due esempi almeno nell’Inferno di Dante di Dannati infilati in qualcosa:  i simoniaci coloro che nel Medioevo facevano mercato delle cose sacre, che Dante colloca nella III Bolgia dell’VIII cerchio, nel canto XIX dell’Inferno: i simoniaci sono messi a testa in giù entro delle buche circolari, coi le gambe levate e le piante dei piedi lambite da fiammelle; e, paragone ancor più vicino a noi, i traditori dei parenti, inseriti nel ghiaccio (Il Lago Cocito) fino alla testa, seppure non  a testa in giù: nel IX Cerchio (Canto XXXII). Ora, per un qualcosa che si saprà solo alla fine del romanzo, nella spiegazione finale, chi era stato inserito a testa in giù nel ghiaccio, in un certo senso era stato un traditore parentale. Non dimenticando che la morte a testa in giù storicamente è attribuita a Giorgio di York, Duca di Clarence, fratello di Edoardo IV e di  Riccardo III, annegato in una botte di malvasia, che aveva tradito il fratello Edoardo congiurando contro di lui.

Perchè secondo me è un capolavoro, il romanzo di Yokomizo? La sua grandezza  in questo romanzo sta nel rivoltare continuamente le verità: Tamayo è una sfortunata donna, oppura è astuta calcolatrice? L’uomo  che indossa una maschera di gomma, è Aonuma o Sukekiyo? Aonuma Kikuno madre di Shizuma è morta oppure si nasconde sotto altre sembianze? Per quale ragioni il soldato smobilitato che si nasconde la faccia, ha salvato Tamayo e probabilmente ucciso Suketomo? Come mai l’individuo con la maschera che aveva paura di lasciare impronte, poiviene riconosciuto quale si pregiava di voler essere riconosciuto? Il continuo cambiamento di situazioni e di ipotesi, è reso in maniera così raffinata da Yokomizo Seishi, che raggiunge vette di virtuosismo inusitato. In un certo modo mi ha ricordato Cat and Mouse di Christianna Brand, proprio per la capacità di tenere il lettore con il fiato sospeso, voltando e rivoltando continuamente sempre la stessa cosa: per certi versi l’impresa della Brand è ancora più titanica di quella di Seishi perchè mentre il parco dei personaggi di Yokomizo è ampio, quello della Brand è estremamente risicato, e quindi l’azione della trama è meno varia e la capacità di tenere il lettore avvinto le è dovuta in modo ancor più meritata. E questa capacità di mascherarsi sotto diversa sembianza, non è propria solo di lui ma anche di Aonuma Kikuno,giacchè prenderà le sembianze di una maestra di koto, che saltuariamente fa visita alla magione del Clan Inugami, per insegnare il koto ( e anche per vedere per l’ultima volta il vecchio Sahee, da morto).

Non è un romanzo allegro, tuttaltro. E’ un romanzo disperato, come disperata era la situazione del Giappone al tempo. Ma la tragedia del romanzo è mitigata dalla figura di Kosuke e dalle sue manie, prima fra tutte quella di grattarsi vistosamente la testa, oltre che vestire in maniera trasandata. Un detective che è in certo senso un anti-detective, un anti-eroe: non il Poirot tutto impomatato, non il Philo Vance inappuntabile, non il Lord Whimsey nobile e snob, ma un oscuro tipo che passerebbe inosservato e in qualche modo anche schifato per queste sue  detestabili manie, se non fosse un detective altamente apprezzato e rispettato. E soprattutto un genio della ricostruzione dei fatti.

Pietro De Palma

P.S.

Una cosa che mi ha sorpreso, ma poi neanche tanto, è che i nomi di alcuni personaggi cambiano a seconda delle traduzioni occidentali, il che rafforza la mia volontà di confrontare, ogni volta che posso e che noto qualcosa di strano nel testo italiano, lo stesso con quello madre. Mi sono accorto stavolta che i nomi dei tre nipoti maschi, in francese Sukekiyo Suketake, Suketomo, in italiano sono stati riportati pari pari, ma nella edizione inglese essi sono invece nell’accezione Kiyo, Take, Tomo. E così anche appaiono nei sottotitoli inglesi del film del 1976. Ma, se leggiamo i sottotitoli della versione del 2006, la stessa digitalizzata, in italiano, essi diventano Sukekiyo, Suketake, Suketomo. Sarebbe necessario quindi confrontarli con l’edizione madre in giapponese: pertanto mi sono rivolto ad alcune amicizie su Fb, gente che seguo e che mi seguono. Chi mi ha dato più che una mano è stato Shunichro Futono, che ho già citato e che ha fugato ogni mio dubbio: entrambe le nomenclature sia nell’edizione inglese che francese (e italiana) sono giuste. Perchè? Quella inglese è quella originale, le altre due aggiungono (non si sa perchè) il prefisso Suke che in giapponese è una sorta di titolo onorifico, nobiliare che indica apaprtenenza ad una famiglia e discendenza (come il mio De). Del resto che le accezioni originali dei nomi siano Kiyo, Take, Tomo, è confermato da un fatto che viene riportato nel romanzo e che spiega perchè nel terzo delitto la vittima sia stata messa al contrario: perchè oltre che la forma del corpo, essa deve significare come Kiyo sia da vedere al contrario, e quindi Yoki (che in giapponese significa Ascia). E quindi da mettere in relazione ai tre simboli della famiglia: “Yoki”, “Koto” and “Kiku”, L’ascia, il Koto e il Crisantemo.

Yokomizo Seishi : L’ascia , il koto e il crisantemo ((犬神家の一族, Inugamike no Ichizoku, 1950-1951). Traduz. dal francese di Sara Cantoni. Il Giallo Mondadori Oro 1969 del 1986ultima modifica: 2023-02-20T20:58:29+01:00da lo11210scriba
Reposta per primo quest’articolo