Mignon Eberhart : La trappola (The Mystery of Hunting’s End, 1930) – trad. Alfredo Pitta – I Classici del Giallo Mondadori N.1346 del 9 maggio 2014

 

Mignon Eberhart

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Circa 6-7 mesi fa chiesi a Mauro Boncompagni come mai non fosse ancora stato inserito nella programmazione della Collana de I Classici del Giallo, The Mystery of Hunting’s End di Mignon Eberhart, pubblicato negli anni ’30 ne I Libri Gialli (Palmine), col titolo “La Trappola”. Lui mi rispose che l’aveva inserito nella programmazione del 2014, augurandosi che potesse uscire ): è  uscito da meno di una settimana.

La traduzione è quella storica di tanti romanzi americani del periodo, affidata ad Alfredo Pitta.

Famoso come gran sforbiciatore (tagliava alquanto i romanzi), Pitta era però un eccellente traduttore oltre che anche un discreto scrittore (si provò anche lui come i vari Ciabattini, Vailati, Spagnol, De Angelis, d’Errico a rinverdire i fasti del Giallo made in Italy, che un decreto fascista stabiliva che dovesse essere attuato in un periodo in cui il Giallo all’inglese e alla francese, la facevano da padroni. Come traduttore,  i tagli che effettuava erano intelligenti; e così ancor oggi, i romanzi da lui tradotti, possono essere tranquillamente letti (magari rinfrescati, come è stato fatto probabilmente per quello in edicola).

Il romanzo The Mystery of Hunting’s End di Mignon Eberhart, il terzo da lei scritto, dopo La stanza N.18 (Patient in Room 18, 1929) e L’elefante di giada ( While the Patient Slept,1930), fu pubblicato con il titolo “La Trappola”, che può essere compreso solo dopo aver letto il romanzo.

Mignon Eberhart, fu una scrittrice statunitense popolarissima. Inventò il personaggio femminile dell’infermiera Sarah Keate, e lo inserì in un filone suo , contraddistinto da trame in cui c’era di solito una donna in pericolo, e in cui l’elemento misterioso si allaccia a quello romantico sentimentale, un po’ come i gialli rosa della serie Nancy Drew, “per signorine”, che sfornava Carolyn Keene (pseudonimo sotto cui si celavano parecchi autori dello Stratemeyer Syndicate, gruppo diretto da Edward Stratemayer, di cui la più famosa fu Mildred Augustine Wirt Benson che scrisse parecchi dei primi gialli della serie). A differenza di questi romanzi, che sono dominati dalla suspence, perché diretti più che altro ad un pubblico di ragazzi,  e che attengono a vicende in cui si muovono truffatori e ladri ma non assassini, e in cui quindi l’elemento violento è molto annacquato, quelli di Mignon Eberhart, che cominciò a scrivere nell’alveo dei romanzi di Mary Roberts Rinehart, contraddistinti da forti atmosfere e da un thriller spasmodico, contengono eccome omicidi! Anche se la vicenda è spesso intrecciata a ceneri romantiche.

Qui l’infermiera Sarah Keate, chiamata in causa dal detective Lance O’ Leary, suo amico, è coinvolta in una vicenda in cui domina la suspence ma anche il mistero.

Mary Kingery, figlia del finanziere Hubert Kingery, a distanza di cinque anni dalla morte del padre, avvenuta in circostanze non perfettamente chiarite, decide di voler sapere tutta la verità e per questo, riunisce nella residenza del padre, vicino Barrington, tutte le persone che erano presenti alla morte di suo padre, che accettano anche per non dire no, e quindi per allontanare  il sospetto che vi possano essere state coivolte: Julian Barre, Jasper Fraley, Nicholas Morse, Charles Killian, sono tutti amici e soci, e comunque personaggi connessi alla finanziaria fondata da Hubert Kingery; Jose Paggi è un tenore e sua moglie è Helen Paggi; Blanche Von Turcum è una baronessa; Lucy Kingery, è sorella di Hubert e zia di Mary; Brunker, è il domestico e Anne, la cuoca. Tutti erano presenti cinque anni prima. Gli ultimi due continuano a servire in casa, e come gli altri, avrebbero avuto validi motivi di risentimento, e quindi un valido movente per desiderare la morte di Hubert.

Apparentemente, Hubert è morto per attacco cardiaco, ma qualcosa non è chiaro e la stessa Mary non è persuasa che il padre sia morto in quel modo: fu trovato in pigiama, per terra, senza pantofole, con il letto approntato per dormirvi e sul comodino il lume acceso. Dentro una stanza chiusa dal di dentro. Questa circostanza autorizzò a pensare che la morte fosse avvenuta per cause naturali; in realtà, vi fu opera di dissimulazione e di corruzione nei confronti del medico che firmò l’atto di morte, perché egli tacesse sulla vera causa, cosa che viene rivelata da Lucy in secondo tempo: era morto per un colpo di pistola a bruciapelo che l’aveva colto in pieno petto. Ella, che “apparentemente” è stata colta da paralisi all’atto della morte del fratello, per il troppo bene che gli voleva, in realtà pare che l’avesse avversato in tutte le forme, per i giochi finanziari di quello troppo spregiudicati, volti ad arricchirsi a danno delle persone che lo circondavano, infischiandosene dei loro risparmi persi: tutti o quasi coloro che la nipote vuole che trascorrano quei giorni a La Vedetta, il luogo solitario da loro scelto, in mezzo alla sabbia.

Il fatto è che Mary vorrebbe anche evitare di sposare uno che potrebbe avere assassinato il padre: tra i suoi invitati c’è anche il suo promesso sposo.

Assegna le camere al piano terra, in un padiglione. Pochissimi vanno a dormire al primo piano, in cui la balconata si affaccia direttamente di fronte alla stanza in cui morì Hubert: ora quella stanza, finisce per dover andare ad uno tra Julian Barre, Jasper Frale e Charles Killian, cioè al secondo. Che poi è il fidanzato di Mary. Di notte, mentre Josè Paggi e l’infermiera detective Keate stanno parlando davanti al camino, e si trovano casualmente di fronte alla porta della stanza di Fraley, sentono prima un fruscio, come se qualcuno passasse in punta di piedi sopra di loro, nella balconata, poi sentono una detonazione che proviene dalla stanza. Vi trovano Jasper morto, colpito da una pallottola al cuore, mentre indossa un pigiama, i piedi scalzi ed il letto acconciato per la notte. La porta è aperta, ma loro che vi stavano davanti, anche se non frontalmente ma in posizione defilata, giurano e spergiurano che nessuno vi è uscito, per di più le finestre sono chiuse e la porta che mette in comunicazione la stanza con quella di Barre è chiusa da una sbarra. E non si è trattato di suicidio, perché si dovrebbe trovare l’arma e questa non c’è. Quindi…

Ma l’assassino/a cos’è ? Un fantasma?

Alcuni degli invitati sono impressionabili, perché il vecchio cane di Hubert, Gerico, guaisce tutte le volte che passa davanti alla porta dell’ex padrone e si comporta quasi che vi fosse una presenza soprannaturale tra loro.

La ricerca dell’assassino è quantomai ardua. Eppure è lì, tra di loro: non può essere scappato, perché fuori nevica, nevica, nevica incessantemente: la villa dove tutti sono riuniti, “La Vedetta”, è completamente isolata. Ma se l’assassino non può fuggire, non possono farlo anche gli altri, casomai lui volesse ammazzarne qualche altro. Già, perché Jasper prima di essere ucciso, durante la cena, aveva fatto cenno a certe carte che lui si era premunito di nascondere, che erano come un lasciapassare, e che contenevano le prove dell’attività fraudolenta della finanziaria di Kingery. Proprio per questo, Hubert aveva costretto la figlia a fidanzarsi con Jasper: era il prezzo del ricatto. Ora tutti cercano queste carte.

Prima scompare un foglio trovato da Keate nella stanza del morto, contenente una sequenza di numeri e indirizzato a Morse; poi scompare il parrucchino del morto, che poi ricompare (lo trova Sarah) per poi scomparire di nuovo e di nuovo ricomparire; poi scompare addirittura il morto, mentre c’è chi giura, la baronessa, che in quella stanza non era entrato nessuno.

Reticenze, mezze verità, bugie, tutto concorre per inficiare l’indagine della coppia Keate-Leary. Anche la volontà di alcuni degli invitati, prima che il cadavere scomparisse, di farlo scomparire, perché se il cadavere non c’è e quindi non c’è la prova di un reato, non ci può neanche essere (in teoria) un’indagine.

La situazione dei presenti diventa assurda, le cibarie cominciano a scarseggiare, perché la loro tenuta è completamente isolata nella tormenta di neve. E intanto l’assassino colpisce.

Prima cerca di avvelenare con la stricnina il cane. Poi, quando la neve finisce di cadere, e Morse vorrebbe andare via per cercare soccorsi, cerca di ammazzare O’ Leary, colpendolo alla testa con un attizzatoio, di notte, mentre è sprofondato in una delle poltrone della sala. Infine ammazza Morse, infilandogli un ferro da calza, che l’infermiera aveva perso, nel cuore. E ne nasconde il cadavere.

Sarà Leary a spiegare all’impaurita Keate, come Hubert e Jasper sono stati ammazzati e a indurre l’assassino a scoprirsi.

Con questo romanzo, Mignon Eberhart vinse nel 1931 lo Scotland Yard Prize. Perché?

Indubbiamente ci troviamo dinanzi ad un buon romanzo che ha delle caratteristiche ben specifiche (anche se le descrizioni che probabilmente sono state assottigliate nella traduzione italiana, probabilmente  avrebbero contribuito a meglio inquadrarle): una atmosfera opprimente e claustrofobica, che è un po’ la caratteristica di tutti quei romanzi in cui la casa è nel mezzo di qualcosa da cui i suoi occupanti non possono fuggire: un ciclone (La casa nel ciclone, di Newton Gayle), il mare (Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie), porte elettrificate (L’Ospite invisibile, di Bristow & Manning), un incendio nel bosco (Il Caso dei gemelli Siamesi, di Ellery Queen); la presenza di condizioni climatiche e atmosferiche estreme (è qualcosa che appare anche in altri romanzi della Eberhart); una donna in pericolo (qui c’è l’infermiera, ma anche Mary Kingery); una storia d’amore (quella tra Killian e Mary); una indagine che si muove più per eventi isolati che invece per una concatenazione di tessere messe a posto; una storia più che poliziesca, romanzesca, ma neanche tanto; e soprattutto una soluzione che pur riuscendo convincente, lascia il passo a dei bug qua e là. Tuttavia, proprio per la stranezza dell’indagine, che si discosta parecchio da quella più classica, tipica del Mystery, la Eberhart che a torto o a ragione (da questo primo romanzo, direi più, “a torto”) venne definita la Agatha Christie d’America, si apparenta più al genere Suspence o Thriller, visto che la soluzione non arriva come la logica conclusione di un certo discorso, ma come il tentativo riuscito, da parte del Detective, che sospetta ma non ha le prove (dice lui), di costringere colui che pensa sia l’assassino a scoprirsi,  costringendolo assieme ad altre persone che fanno da specchietto per le allodole, a evitare di essere sparato dal congegno che lui stesso ha approntato in precedenza. In sostanza il lettore aspetta solo di vedere se l’assassino si scoprirà o meno, perché lui non ha capito chi possa proprio essere (io l’avevo capito ma per altro ragionamento, che non rivelo, e che è insito nell’assegnazione delle Camere: come mai proprio Jasper muore? E questo non perché sia tonto, ma perché l’autrice non fornisce gli indizi in maniera chiara (salvo poi spiegarne il significato dopo: “Recondite Armonie”!) perché possa capirlo. Ecco perché il finale! Ecco perché cerca di indurre in trappola l’assassino, dopo che la trappola per tanti giorni era stata la stessa casa in cui erano stati costretti a vivere!

Nonostante ciò il romanzo fila che è un piacere. Merito della Eberhart che confeziona tutto sommato un bel romanzo e merito anche di Pitta che sforbicia è vero, ma con raziocinio.

E’ evidente che LA TRAPPOLA è una classica Camera chiusa, pur non sembrando tale a prima vista: riassume il caso presente in It Walks By Night di Carr (La porta non era chiusa ma era tenuta sott’occhio da persone fidate), e quello dei romanzi in cui l’assassino anche se materialmente può sembrare che fosse presente, non lo era (in sostanza si ripresenta il caso descritto in The Greene Murder Case di Van Dine, in cui una pistola è azionata con un congegno apposta predisposto); e ovviamente, come abbiamo detto prima, potrebbe dirsi una Camera Chiusa allargata, essendo la casa stessa una grande Camera chiusa, dalla quale, per la tormenta di neve in atto, l’assassino non può essere fuggito.

Il fatto che alcuni critici importanti stranieri non abbiano espresso calorosi apprezzamenti nei riguardi di questo romanzo, è da mettere in relazione probabilmente alla natura della Camera Chiusa. Ne parla Carr nella sua Locked Room-Lecture in The Hollow Man:

Primo! C’è il delitto commesso in una stanza ermeticamente sigillata che è realmente sigillata ermeticamente e dalla quale nessun assassino è mai uscito perché nella stanza non c’era nessuno” ( http://blog.librimondadori.it/blogs/ilgiallomondadori/2011/07/29/dissertando-di-camere-chiusejohn-dickson-carr-vs-clayton-rawson/ ).

E’ evidente che non può essere accaduto che  l’assassino abbia inscenato una qualche pantomima allo scopo di distrarre lo spettatore, entrare ed uccidere il malcapitato facendo credere che fosse già morto (come in The wrong shape di Chesterton), perché in questo secondo caso, ci sarebbe il concorso del colpevole e quindi un’azione spettacolare volta ad inscenare qualcosa; e quindi non si spiegherebbe lo scarso credito della critica specializzata. E’ evidente quindi che ricadiamo in altra casistica.

Leggendo anche voi il romanzo, capirete a quale dei tipi di Camera Chiusa di cui parla il Dottor Fell, possa ascriversi questa. Direi che in un certo senso, possa essere accostata ad un’opera di Carr scritta con il suo pseudonimo, Carter Dickson, a quattro mani assieme al suo amico John Rhode, Fatal Descent :

chi ha letto il romanzo potrà forse immaginare a cosa io voglia alludere; chi non l’abbia letto (un capolavoro) non dovrà fare altro che acquistarlo.

Pietro De Palma

Mignon Eberhart : La trappola (The Mystery of Hunting’s End, 1930) – trad. Alfredo Pitta – I Classici del Giallo Mondadori N.1346 del 9 maggio 2014ultima modifica: 2014-05-07T20:33:25+02:00da lo11210scriba
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