Jonathan Latimer : Destinazione Sedia Elettrica (Headed for a Hearse, 1935) – trad. Bruno Tasso – Serie Gialla Garzanti “Le tre scimmiette” N. 54 del 1955 – I Classici del Giallo Mondadori N.726 del 1994

Nella cella di destra, un uomo piangeva ancora. Era ormai il tramonto, e lui piangeva da mezzogiorno. Piangeva adagio, con brevi singhiozzi insistenti e strazianti, senza speranza e senza convinzione, come un bambino atterrito nella notte.

Nella penombra della sua cella, nella casa della morte, Robert Westland lo ascoltava. Senza questi singhiozzi, il crepuscolo sarebbe stato pieno di dolcezza. Le tenebre si andavano facendo rapidamente più fitte, come se qualcuno ricoprisse di veli di mussola una lanterna magica; la penombra aveva già cancellato le sbarre della cella, aveva già spento il riflesso di porcellana sudicia dello sciacquone scoperto. Dopo un poco, l’uomo della cella vicina smise di piangere e annusò l’aria, attentamente e rumorosamente, come un cane raffreddato. Ci fu un momento di fragile silenzio, poi egli mormorò:” Non voglio morire! Gesù, non voglio morire!”(op.cit. pag. 5)

Così comincia, il memorabile romanzo di Jonathan Latimer, Headed for a Hearse.

Pubblicato nel 1935, il romanzo, seguito nello stesso anno da un’altra opera storica dello stesso autore, Murder in the Madhouse ( 1935 ), è un ottimo esempio di quella che viene definita “la Commedia Nera”, invenzione stilistica di Latimer, con cui fuse l’Hard-boiled della scuola dei duri, col Mystery, e con una vena talora estremamente dissacrante. Non si può infatti dimenticare la terza opera veramente memorabile di Latimer, ossia The Lady in The Morgue, in cui l’Hardboiled americano viene ridotto ad una parodia, molto nera e talora anche grottesca.

E’ da dire comunque che Latimer, nato nel 1906 a Chicago, da giovane si fece le ossa come reporter di cronaca nera, e negli anni del proibizionismo e dei gangster, Latimer, che aveva conosciuto personalmente Al Capone e Bugs Moran, si fece ben presto conoscere per la sua facilità di scrivere, per la capacità innata di narrare. Successivamente affinò questa sua peculiare caratteristica scrivendo i discorsi per il Segretario si Stato Harold Ickes.

Nel 1935, inaugurò la carriera di scrittore, con il romanzo Headed for a Hearse (Destinazione sedia elettrica) accolto in modi entusiastico. A questo primo romanzo, seguirono altri romanzi fino allo scoppio della II Guerra Mondiale in cui lui, arruolatosi, combattè in marina.

Latimer, parallelamente alla carriera di scrittore, come era in uso in quegli anni, affiancò anche quella di sceneggiatore per il cinema, diventando uno dei più quotati. La sua ultima sceneggiatura fu quella del 1972 per l’episodio “Il terzo proiettile” (“The Greenhouse Jungle“) della serie “Colombo” con Peter Falk.

Morirà nel 1983, dieci anni dopo la decisione di cessare l’attività narrativa, per un tumore.

Da ricordare è anche il fatto che all’inizio degli anni ’40, diventò vicino di casa, in California, del suo migliore amico, Raymond Chandler.

Robert Westland è condannato a morte per un delitto che non ha commesso. Dopop aver ricevuto una lettera in cui un tale M.G. gli scrive che lui sì che potrebbe evitargli la sedia elettrica essendo stato testimone di quello che è accaduto la notte che è morta la moglie di Westland, cerca di corrompere il direttore del carcere, promettendogli diecimila dollari se farà in modo che lui possa salvarsi. Joan è stata trovata nella sua camera d’albergo, con la porta chiusa a chiave, uccisa da un colpo di pistola alla nuca. Il bello è che il proiettile rimanda ad una Webley, una pistola inglese che Robert possiede da quando ha militato nell’esercito inglese. Solo che questa pistola non si trova. La serratura della porta aveva due sole chiavi che l’aprissero: era un serratura speciale: una chiave si trovava nella camera d’albergo, la seconda era in possesso di Robert. Per cui la polizia ha pensato che…

Ma nel caso Robert non fosse stato, ci troveremmo dinanzi ad una Camera Chiusa. E’ in effetti tale. Bisogna spiegare come ha fatto l’assassino a commettere il delitto e poi ad inscenare che ad uccidere sia stato un altro, cioè come ha fatto a chiudere la porta se le chiavi erano solo due.

Il bello è che Robert ha ammesso davanti alla corte che fino ad una certa ora della notte è stato in camera con la moglie, che due coniugi hanno sentito di notte uno sparo, che nessuno avrebbe motivo di sbarazzarsi di lui, neanche i suoi soci Richard Bolston e Ronald Woodbury; in sostanza scagiona dal complotto a suo danno sia la fidanzata cui andrebbero i due terzi del suo patrimono sia il cugino Lawrence, che riceverebbe il restante terzo: eppure il suo patrimonio ammonta a trecentoquarantamila dollari; inoltre si può pensare che lui invece avrebbe avuto motivo per eliminare la moglie, visto che ha un’altra relazione sentimentale: il fatto è che il loro divorzio era ormai fissato, anche se la sera dell’omicidio, qualcuno che parlava come se fosse stata Lou, cioè la sua fidanzata, lo aveva spinto ad andare dalla moglie dalla quale vi era stata una lite terribile tra i due coniugi separati. Insomma tutto gioca contro Robert, ma c’è un punto: è stato condannato a morte sulla base di una presunzione, che la pistola che ha ucciso Joan fosse proprio la sua, ma intanto non si trova. Per di più prima che si recasse dalla moglie, Westland aveva ricevuto una telefonata da una donna che gli è sembrato facesse il suo meglio per copiare la voce di Lou senza riuscirci.

Il direttore gli procura un avvocato, Finklensten, che si mostra convinto dalla deposizione di Robert: gli procurerà il miglior poliziotto privato d’America, William Crane, perché trovi le prove che lo possano scagionare. Le dovrà trovare solo in quattro giorni, perché quattro giorni mancano alla esecuzione sulla sedia elettrica per Robert Westland.

Il misterioso testimone che si firma M.G. è identificato come Mamie Grant, un amico durante il proibizionismo di Al Capone: ha un locale, ed è là che Crane e Lou lo trovano, solo che qualcuno, davanti a loro, lo fa fuori. Devono quindi cominciare tutto daccapo.

Martedì fanno visita all’appartamento teatro della tragedia, ma lo trovano occupato: l’amministratore dando oramai per spacciato Westland anche se l’appartamento è ancora a lui affittato e quindi contiene le sue cose, l’ha dato ad abitare alla sua amichetta, un’attrice di varietà, Miss Hogan, che si dà a chi ha abbastanza “grana” per mantenerla. Ma anche nell’appartamento, per quanto girino ed esaminino, non trovano nulla. E anche martedì è passato. Anche se di sera, Crane va a trovare un suo amico, il Tenente Strom della Polizia di Chicago, al quale chiede di vedere se qualcun altro, in quell’affare, risulta tra i presenti e comunque gli interessati a che Westland fosse condannato a morte, risulti qualcuno che abbia una fedina penale macchiata.

Intanto i giorni passano (la vicenda si svolge nell’arco di quattro giorni, è bene rammentarlo ancora!) e accadono molte cose: innanzitutto qualcuno da una macchina in corsa spara una raffica di mitra all’indirizzo di Crane e Doc Williams, il suo socio, mancandoli per poco. Poi qualcuno simula un incidente stradale ed elimina Amos Sprague, capo-ufficio dell’agenzia di borsa di Westland. Perché è stato ucciso? Simmons, il maggiordomo di Westland, messo alle strette, rivelerà che prima di morire pare che dovesse avere una trattazione d’affari con Woodbury, uno dei soci di Westland. Crane si convince che c’è qualcosa di poco pulito nella gestione dell’agenzia, quando, analizzando a fondo certi titoli posseduti dalla moglie di Westland e rinvenuti in cassaforte, ci si rende conto che sono o fasulli o addirittura rubati nel corso di rapine a furgoni postali.

I giorni passano, gli indizi aumentano, ma non c’è nulla di concreto a favore di Westland. Intanto però miss Hogan ha lasciato l’amministratore e “la dà” all’avvocato Finklensten: la bella fanciulla a Crane piace da pazzi, e una sera che hanno fatto una rimpatriata a casa dell’avvocato, Crane si ubriaca e si ritrova la mattina dopo nel letto della bella Hogan, con un suo pigiama. Insomma per dirla breve lui ci prova ma si ritrova con in labbro morso dalla caliente Myrna che però gli lascia intendere che se lui avesse “la grana” lei abbandonerebbe in men che non si dica l’avvocato e andrebbe con lui e lo farebbe anche con piacere, perché Crane gli piace.

Tutto ciò non c’entra nulla con la trama però la rende più frizzante e stempera parecchio l’opprimente cappa che grava sulla storia. Fatto sta che però Crane ha un motivo in più per salvare Westland: sa che almeno tutti i soldi che avrà se riesce a dimostrare che quello è innocente, li potrà spendere con la bella Myrna.

I tasselli del puzzle cominciano ad andare al loro posto quando Westland gli rivela che nel sottofondo della telefonata la falsa Lou, lui aveva sentito come un rumore di acqua che scoscia, come le cascate del Niagara. Stabilito che la telefonata era partita effettivamente dalla casa di Lou, vi si recano tanto per scoprire che il filo della linea telefonica è stato tagliato e da lì è stata creata una derivazione non controllata. Seguono il percorso del filo telefonico sotto lo sguardo attonito della madre di Lou che continua a ripetere come nessuno mai che fosse esterno era mai entrato da loro eccetto degli operai della linea telefonica chiamati per correggere delle seccature. Ecco questo è un altro problema: perchè la madre aveva chiamato un operaio, ma invece ne sono arrivati due. Il secondo cosa è andato a fare e per di più il giorno della morte della signora? E’ stato lui ad imitare la voce di Lou? E perchè si sentiva il rumore di una cascata nel sottofondo?

Crane intravede la soluzione e capisce anche dove può essere andata a finire la pistola di Westland che nessuno trova, o almeno lo pensa. Ingaggia un automobilista e gli fa fare tutte le possibili strade che possano essere fatte per arrivare allo studio di Westland passando vicino al fiume; poi individuata la via meno trafficata e l’unica in cui non vi sia il controllo di poliziotti, sotto lo sguardo attonito di Williams che pensa che il collego sia impazzito del tutto, compra dal taxista una chiave inglese e la fa lanciare dalla macchina in movimento nel fiume, si segna il punto dove ha lanciato la chiave inglese, poi affitta un battello ed un palombaro solo per recuperare la chiave inglese e qualsiasi altra cosa che sia rinvenibile, delle dimensioni di una chiave inglese, nella melma. Così viene recuperata una pistola, una Webley inglese con tanto di targhetta intesta a Robert Westland, con un grado di ruggine compatibile con la permanenza in acqua da almeno sei mesi (tanto è il tempo passato dalla morte della moglie di Robert), ma ancora in grado di sparare. Tuttavia, senza che si possano comparare i proiettili sparati da quella pistola con quello che ha ucciso la vittima, non si potrà confermare che quella pistola abbia sparato. Ma Crane ha un’altra pista da seguire: si fa dire quali società che vendano armi possano avere venduto a qualcuno una Webley, che non è un’arma comune in America; e così riesce a d arrivare ad una società che dice di aver venduto ad un certo Brown una partita di armi europee diverse tra cui una Webley. Sia il direttore della società che l’impiegato che si è occupato materialmente di far provare le pistole ed in particolare la Webley al misterioso compratore, lo associano ad una delle quattro foto propostegli da Crane. Inoltre, saputo che i proiettili sparati dalle pistole, ed in particolare da quella Webley, non sono stati recuperati e giacciono nella sabbia dietro ai bersagli, Crane inaugura una specie di caccia al tesoro: dichiara di pagare cento dollari per ogni proiettile sparato da quella pistola che l’impiegato riesca trovare nella sabbia.

Riuscirà così a dare un volto al misterioso assassino, a spiegare come abbia fatto ad uscire da una stanza chiusa, a spiegare il perchè e chi abbia fatto la misteriosa telefonata, a illustrare il movente dell’omicidio, e se l’assassino abbia agito da solo o con una complicità e di chi, e infine a spiegare anche il mistero dei titoli rubati o fasulli. E potrà anche andarsene in vacanza a godersi i soldi guadagnati con la bella Myrna, sapendo che potrà vederla finalmente al naturale e non solo intravvedendone le forme senza reggiseno al di sotto di un pigiama di seta, così come aveva fatto la mattina seguente alla sbornia.

Il capitolo finale è un ritorno nel braccio della morte, da cui Robert è stato separato per le due ore finali della sua vita, nel corso delle quali Crane davanti alle autorità ha risolto il mistero: questa volta è però una recita, una mesta recita che deve impersonare ad uso dei suoi compagni, condannati come lui a morte, e che non devono sapere che lui si è salvato: sia Connors, un gangster che ha eliminato i Canzonieri, sia l’ebreo Varecha, affronteranno il loro destino finale, cambiando il loro atteggiamento: il primo insofferente alla religione, si inginocchierà; il secondo, debole tanto da aver tentato di suicidarsi per scampare alla sedia, troverà la forza per andare al patibolo.

Straordinaria opera prima, realizza già in questa sua prima tornata quello che sarà il leit-motiv di tutta la produzione di Latimer: evolvere la struttura narrativa dell’ Hardboiled americano, svincolandolo dalla ripetitività delle situazioni oramai diventate tipiche del genere (la femmina fatale, bella e sfuggente, i mascalzoni, assassini spietati meglio se gangsters, sbornie colossali e fumate continue, atmosfere grigie, e tutto un sottofondo che non è mai a colori come nel romanzo Mystery ma in bianco e nero, come nella tradizione del Noir, scazzottate, omicidi a ripetizione, violenza e nessun enigma classico: insomma tanta ma tanta azione, romanzi che si leggono in un niente perchè sorretti da un ritmo notevole, ma in cui l’elemento deduttivo manca se non del tutto, quasi), e quindi donando una freschezza che oramai tutte le opere del genere hard boiled non avevano più. In sostanza è come se preparasse un cocktail, che tanto piacciono agli autori polizieschi americani del tempo (mystery e hardboiled) tutti gran bevitori: invece di quello a base di gin con il quale Crane si sbronza a casa della bella Myrna, ottenuto mischiando gin, seltz e limone, Latimer ne fa uno narrativo, mischiando una bella dose di azione tipica dell’Hard boiled con un’altra bella dose di enigma deduttivo e completando il tutto con battute dissacranti, umoristiche e con una storia d’amore e sesso che non guasta perchè stempera l’atmosfera plumbea del condannato che vede approssimarsi l’attimo in cui gli metteranno gli elettrodi e gli daranno la scarica. Il tutto a formare la Commedia Nera americana che i critici riconosceranno esser stato lui il primo ad inaugurare ( e che poi ha avuto altri esponenti direi soprattutto in Pronzini e Westlake).

Innumerevoli i motivi di interesse di questo romanzo.

Innanzitutto, c’è una componente hard boiled molto accentuata: la sparatoria con cui viene eliminato Mamie Grant, il tentato omicidio di Crane e del suo amico Doc Williams (il killer che abbassa il finestrino e spara una sventagliata di mitra) per strada, i metodi molto convincenti usati dai due scagnozzi rimediati da Crane e messi a disposizione tramite Westland dal suo compagno di cella vicina, Connors, uno che si era opposto ad Al Capone: questi due torchiano un tale che sarebbe dovuto essere uno di quelli che hanno sparato dall’auto in corsa, e lo fanno con uno spremi limoni con cui gli spremono una mano, dopo averlo gonfiato di botte.

Poi c’è una storia d’amore disperata tra Westland e Lou Martin, ed una invece che Crane vorrebbe che nascesse (“tra un grande poliziotto privato ed una grande peripatetica”, come dice lui in un inciso).

Infine c’è l’enigma più tipico del whodunnit, anni ’30, la Camera Chiusa. Infatti l’unico che avesse le altre chiavi della porta d’ingresso era lui, e le chiavi della moglie son state trovate dentro la casa. Come si vede, si tratta, a ben vedere di una Camera Chiusa, un po’ inusuale: si è tentati a pensare che non lo sia, perché l’accusa ha dimostrato che non poteva essere altri che proprio Westland ad aprire la porta e a rinchiuderla con le proprie chiavi, e anche se la pistola non viene trovata, tuttavia il calibro è quello di una Webley automatica, di proprietà dell’agente di borsa. Ma alla fine si dimostrerà che in un certo senso era proprio una Camera Chiusa.

Ohibò! Latimer che usa una Camera Chiusa nel suo primo romanzo? Ecco un’altro dei motivi per cui quest’opera si distingue: il coraggio di proporre qualcosa di nuovo, di inaugurare un genere ibrido, non temendo di ricorrere al tanto vituperato “Mistero deduttivo classico”. Di coraggio ne aveva Latimer, non c’è che dire! Sembra la stessa scelta che avrebbe fatto qualche anno dopo (diciotto per l’esattezza) Howard Browne nel suo Thin Air, 1953 (Controfigura di un rapimento) un altro Hard Boiled che comincia con una Camera Chiusa!

Rompere col genere Hard-Boiled, proponendone un imbastardimento, una variazione fantasiosa, e soprattutto alleggerendone la pesantezza, con i battibecchi gustosissimi tra Doc e William, e la dichiarazione d’amore tra il poliziotto uscito da una sbronza e la bellissima peripatetica. Una specie di ripetizione di questo simpatico connubio tra il poliziotto sensibile al fascino femminile (le gambe e i seni) e la bella mantenuta sensibile ai soldi, ma anche al modo un po’ rude di Crane, diciamo “ruspante”, si avrà in un romanzo di Colin Dexter, Il Mistero della Stanza N.3 , in cui il romantico Ispettore Morse solo per un istante penserà di passare una notte di passione tra le braccia (e le gambe) di una bellissima prostituta d’alto bordo.

E ancora c’è un metodo deduttivo di prim’ordine, utilizzato per individuare la pistola di Westland, data per scomparsa; ed una volta saputo che il proiettile che aveva ucciso la moglie di Westland non è uscito dall’arma ritrovata, e che la pistola che invece è stata usata dall’assassino per commetere l’omicidio non si trova, Crane riesce con un modo empirico, comunque, ad attribuire al compratore misterioso, l’attribuzione dell’omicidio. E poi a rivelare altre cose, sempre con l’uso della ragione.

Al di là di questo, il romanzo dovette essere molto popolare se Rufus King molto probabilmente pensò di copiarne il ritrovamento della pistola, almeno questo penso. Riporto un passo emblematico, citato nel mio breve saggio pubblicato sul Blog Mondadori, tempo fa, a riguardo di Rufus King, in cui mettevo a confronto la scena di Latimer Il palombaro si chiamava Peter Finnegan. Indossava lo scafan­dro con le scarpe di piombo. Guardò Crane con i suoi òcchi di un azzurro slavato e disse: — Volete che mi immerga per recuperare la chiave inglese?. Crane disse: — Voglio che riportiate alla superficie tutti quegli oggetti d’acciaio che riuscirete a ritrovare. Chiavi inglesi o qualsiasi altra cosa…” (Jonathan Latimer, op. cit., pagg. 148-149)” con quella in Holiday Homicide (Omicidio a Capodanno) di Rufus King:

….Ormai anche il giovanotto del comando di polizia aveva af­frontato il vento ed era salito a bordo. Ci raggiunse: — Brutta giornata, signor Moon — osservò.

Sì, vero?

Sono Duffy, della squadra omicidi.

Come sta, signor Duffy? Conosce il mio segretario, Bert Stanley?

No.

Il signor Duffy, il signor Stanley.

Il signor Duffy e il signor Stanley si strinsero i guanti. ..Si sarebbe quasi potuto ritrovare il capitolo sul “Modo di avvi­cinarsi alle persone” nel manuale, da cui era venuto fuori questo genere di chiacchiere (“ammansite-la-vostra-vittima-prima-di-assalirla”).

Bene, poiché presumibilmente Moon era stato pienamente am­mansilo, quel giovane di belle speranze iniziò l’attacco. Fece un cenno vago verso il rimorchiatore e disse:

— Si direbbe che ci sia un palombaro.

Già.

Fa fare un’immersione, signor Moon?

Pensavo di farlo.

Qui?

Qui.

E perché?

Qui lo voglio, signor Duffy. Non lo so.

Possibile?

Voglio dire che non lo so, nel senso che quell’uomo s’im­mergerà semplicemente per un tentativo di scoprire qualche indi­zio..

E quale, per esempio?

Moon fu abilissimo nel prendere un’aria leggermente tediata e imbarazzata. Gli avrei dato il mio voto per un primo premio qua­le attore.

Signor Duffy, non ho nessuna ragione per non essere per­fettamente franco con lei — disse (Dio aiuti il signor Duffy, pen­sai io). — Non risparmiamo nessuna spesa né alcuno sforzo per cercare di mettere sicuramente in luce l’innocenza del nostro cliente.

E con questo?

Una delle prove testimoniali che, secondo me, scagionerà completamente Bruce è la pistola del delitto. Si ritroverà il possessore della pistola, e il vero colpevole sarà arrestato. Fino­ra la polizia non è stata in grado di ritrovare l’arma. Ho preso un palombaro per scandagliare il letto del fiume nelle vicinanze del luogo del delitto. ”(Rufus King, Holiday Homicide, “Omicidio a Capodanno”, I Classici del Giallo Mondadori N° 754, pagg. 68-69).

L’osso è una pistola che possiede Cotton Moon, un ferrovecchio, che tiene un attimo in acqua fuori dal bordo dell’imbarcazione, perché appaia gocciolante, che viene consegnata “zelantemente” al gabbato poliziotto:

Ce la svignammo in un modo meraviglioso. Harry Lochbittern ci staccò senza rumore dal rimorchiatore, i due motori presero a vibrare, e con la stessa gentilezza di un fiocco di neve allargam­mo lo specchio d’acqua che ci divideva dalle due imbarcazioni della polizia. ..S’accorsero che ce ne eravamo andati quando la neve che ca­deva aveva ormai reso confusa la nostra immagine, e in quel mo­mento già facevamo le nostre sessanta miglia, e nessuno avrebbe potuto raggiungerci. Moon non aveva bisogno di dirmi nulla, quanto alla pistola. Era un ferrovecchio che gli era stato regalato da un ammiratore di Melbourne. Avevo visto benissimo quando Moon se l’era sfilata dalla tasca del soprabito e l’aveva tenuta in acqua fuori del motoscafo, in modo che apparisse tutta bagnata quando avesse finto di staccarla dal gancio.

Svitai il coperchio del thermos e offrii da bere a tutti quanti. Walter si era comportato bene. Il rum era bollente, aromatizzato a dovere e veramente buono.”(Rufus King, op. cit., pag.73)”.

http://blog.librimondadori.it/blogs/ilgiallomondadori/2010/05/26/un-%E2%80%9Cborn-writer%E2%80%9D-rufus-king-invenzioni-stile-e-rapporti-con-la-letteratura-di-genere-coeva/#more-6051

Nel mio saggio dicevo anche dell’altro: impostavo l’ipotesi che a sua volta Latimer, avesse preso qualcosa da un altro Rufus King. E ciò non deve meravigliare, in quanto il taglia e incolla era una specialità di Latimer, che in parecchi dei suoi romanzi citò opere di altri suoi colleghi, mutando però qualcosa do sostanziale e ottenendo delle opere originali:

Fatto sta che parrebbe che Rufus King si fosse rifatto a Rex Stout e come a lui anche a Latimer : faccio notare che come il titolo originale americano di “Destinazione: Sedia Elettrica” sia dato sostanzialmente da due parole che cominciano per H : Headed for a Hearse, anche il romanzo di Rufus King presenta la stessa curiosa caratteristica: Holiday Homicide. Solo un caso?

Parrebbe quindi che Rufus King avesse preso da Latimer, se tuttavia non vi fosse dell’altro: infatti ben prima che fosse uscito “Destinazione:Sedia Elettrica”(pubblicato come abbiamo detto nel 1935), Rufus King aveva pubblicato il suo The Lesser-Antilles Case. Il romanzo, noto in Italia col titolo “La prova in fondo al mare”, era stato pubblicato un anno prima, nel 1934. Ecco un significativo brano, estratto dal Cap.XX “Predizione sinistra”:

Lo scafandro che la signori­na Whitestone aveva procura­to per mezzo dei signori Wor­thington Worthington e Pice era un modello americano dotato dei più recenti perfezionamenti. Consisteva in una pompa ad aria a tre cilindri e un pistone, che conveniva a qualunque ge­nere di immersione, di un casco e di una corazza di rame (il ca­sco era munito di vetri fissati in cornici di metallo; quello di­nanzi, a cerniera, si poteva rial­zare; i vetri laterali, contraria­mente a certi tipi, non erano protetti da sbarre metalliche trasversali). Cerano, poi, un paio di stivali con la suola di piombo, i pesi per la schiena e per il petto e un tubo per l’aria, pieghevole e di una so­lidità a tutta prova.

La signorina Whitestone non aveva badato a spese, non ave­va esitato ad aggiungere al­lo scafandro un apparecchio telefonico composto di un cavo che serviva per i segnali del pa­lombaro e gli permetteva di ri­manere in comunicazione co­stante con la superficie.

Così il tenente Valcour avrebbe potuto dirigere perso­nalmente le ricerche nel rotta­me in fondo al mare. Questo sistema offriva anche il van­taggio di permettere al palom­baro di comunicare a Valcour le sue scoperte man mano che le faceva.

Tutto l’equipaggiamento era stato disposto con cura sul se­condo ponte, in una cabina chiusa a chiave.

Il palombaro, che era stato fornito anche lui dai signori Worthington Worthington e Pi­ce, era un uomo d’aspetto giovanile a nome Arthur Stumpf, molto agguerrito contro gli incerti del mestiere, nonostante la sua apparenza fragile. E tut­tavia – benché né i signori Wor­thington Worthington e Pice se ne fossero resi conto – costituiva il solo anello debole della catena, che in tutti gli altri suoi pun­ti era invece saldamente co­struita.”(Rufus King, The Lesser-Antilles Case, “La prova in fondo al mare”, I Capolavori del Giallo Mondadori N° 51, pag.97).

In realtà il palombaro in questione, dopo una immersione, vi rinuncia a causa delle sue precarie condizioni di salute; ed il suo posto verrà preso, secondo una trappola abilmente tesa da Valcour, proprio dall’assassino che si smaschererà, trovando immediatamente la cabina che avrebbe dovuto cercare a bordo dell’Elsinore affondata, pur non potendolo sapere in quanto apparentemente non si sarebbe mai immerso lì. Apparentemente perché in un finale a sorpresa, è.. : si legga il libro e lo si conoscerà.

Veniamo così a sapere che Latimer può aver usato un espediente che già R.King aveva usato l’anno prima. La tendenza a riutilizzare i materiali, abbiamo detto prima, era una sua peculiarità: questa tendenza verrà utilizzata da Latimer in tarda età: nel 1972 firmerà una sceneggiatura originale per The Greenhouse Jungle, “Il Terzo proiettile”, secondo episodio della seconda serie de Il Tenente Colombo: nipote e zio fingono un falso rapimento, per svincolare un fondo fiduciario utilizzabile solo in casi estremi, poi lo zio uccide il nipote e fa ricadere la colpa su altra persona. Il colpevole, interpretato magnificamente da Ray Milland, sarà smascherato quando Il Tenente Colombo scoprirà l’esistenza di un terzo proiettile, e lo troverà utilizzando un metal detector. Questo strumento, che era stato inventato nella sua versione avanzata nel 1930 da Gerhard Fisher, non era altro che un apparecchio che emetteva onde radio: Fischer aveva notato che le onde radio venivano distorte dalla presenza di materiali metallici.Applicando l’intuizione, ad un congegno magnetico, egli realizzò il primo Metal detector. Ora, a pag. 149 del CGM 726 già citato, si legge : “..Il palombaro si piegò oltre la balaustra. Fra questo punto ed il fazzoletto là in fondo. Non sarà una faccenda troppo difficile.La profondità non supera i dieci metri e, per mia fortuna, ho un elettromagnete in grado di recuperare qualunque pezzo di acciaio in un raggio piuttosto vasto..”. L’eletromagnete non è altro che un metal detector: rileviamo quindi che nella sceneggiatura dell’episodio di Colombo Latimer aveva preso una sua idea e l’aveva trasformata. Così secondo noi può aver fatto rispetto al romanzo di King e aver preso l’idea del palombaro. Ma Latimer non si sarebbe limitato solo a questo per noi;  e la fonte di ispirazione sarebbe stata sempre Rufus King.

Infatti, parecchi anni prima, King aveva esordito nel panorama della letteratura gialla, e prima di Murder by the Clock in cui avrebbe fatto entrare in scena il tenente Valcour, con dei racconti in cui aveva introdotto il suo primo detective, Reginald de Puyster. Ora in uno di questi, The Weapon That Didn’t Exist (1926), troviamo un assai singolare inizio:

In una cella, nel carcere delle Tombe a Nuova York, una ragazza irlandese fissava l’alba attraverso le sbarre dell’inferriata. Se nel pomeriggio l’avessero incolpata di tentato omicidio, non avrebbe più visto un’altra alba. Era decisa: nella cavità tra il pollice e l’indice teneva nascosta una compressa tolta dall’armadietto dei medicinali della sua signora, prima che la polizia venisse ad arrestarla: Sul flacone che aveva contenuto la compressa era il cartellino: Veleno” (Rufus King, Un’arma eccezionale, numero 15 dei “Gialli di Ellery Queen”, Garzanti, marzo 1951[16]), che è stranamente, assai stranamente, molto simile all’inizio di “Destinazione: Sedia Elettrica”, e anticipandolo di ben nove anni. Sarebbe stato possibile che Latimer avesse più tardi tratto ispirazione da questo racconto? Ci piace pensare di sì. Del resto anche in questo caso abbiamo in pratica il realizzarsi di un delitto impossibile: in un’automobile è stato compiuto un delitto. L’auto è uno spazio chiuso, e quindi siamo ancora una volta in una Camera Chiusa, in cui l’arma non si trova, come pure nel caso del romanzo di Latimer: lì una pistola, qui un qualcosa che può aver avuto a che fare con una puntina da microsolco, un pickup imbevuto di veleno: un bocchino da sigarette trasformato genialmente in una minicerbottana”.

http://blog.librimondadori.it/blogs/ilgiallomondadori/2010/05/26/un-%E2%80%9Cborn-writer%E2%80%9D-rufus-king-invenzioni-stile-e-rapporti-con-la-letteratura-di-genere-coeva/#more-6051

Ora a vedere bene, così come Colombo ritrova con un metal detector la pallottola all’interno della serra, così anche Crane è riuscito a ritrovare una pallottola all’interno del poligono di tiro; così come grazie ad un metal detector un palombaro aveva ritrovato nel romanzo pubblicato trentasette anni prima una pistola. E’ bello pensare che il vecchio Latimer abbia ricordato il suo primo romanzo nella sua ultima sceneggiatura. Ma è ancora più interessante sottolineare come il giornalista del Chicago Tribune che aveva conosciuto personalmente Al Capone, a metà degli anni ’30 esprimesse con altrettanto inusuale coraggio nel suo romanzo, una posizione così netta contro la pena di morte. Non è solo, come ho detto prima, forse una citazione da un racconto di Rufus King. No. Il riferimento alla scena nel Braccio della Morte mi sembra assolutamente voluto. E’ sicuramente un attacco dal forte sapore drammatico e cinematografico (e benissimo può essere visto che come abbiamo detto, Latimer fu anche sceneggiatore cinematografico e televisivo), ma i toni con cui riporta la vita di un condannato a morte, che non aspetta il momento della sua liberazione ma che vorrebbe che questa non ci fosse mai (anche se la morte in taluni casi può essere anch’essa una liberazione!), sono emblematici. Si coglie un afflato che non è solo melodrammatico, ma invece profondamente sentito. Del resto, se così non fosse, non si capirebbe perchè il romanzo non finisca con una scena solare – per esempio la liberazione di Westland, o con Crane sdraiato al sole con labilla Myrna – ma con una tetra, la morte di Dave Connors e Isadore Varecha. Semmai c’è la volontà di dare della morte, una visione eroica comunque, seppure nella inumanità di una morte già annunciata, vissuta lentamente ad ogni minuto che passa, e nellostesso tempo nella ineluttabilità del tempo che passa inesorabile e che non si vorrebbe passasse mai. Non è tanto nella stoicità dell’attteggiamento di Connors che è in prigione perchè cercando uccidere chi lo voleva fare fuori della banda di Capone, ha ucciso involontariamente anche un poliziotto, che Latimer indugia, quanto nella disperazione di Varecha, che cerca persino di uccidersi, impiccandosi coi suoi pantaloni e che viene salvato solo perchè possa essere ucciso di nuovo. Quasi che ad un condannato a morte non sia permesso di morire da solo perchè è lo Stato che l’ha condannato a morte, che deve ucciderlo: non sarebbe giusto (ma che giustizia è questa?).

La condanna di questo tipo di morte è in quella lapidaria implorazione di Varecha: “Non voglio morire..non a quel modo” (pag.14). Varecha nell’ultima pagina del romanzo, mentre lo stanno avviando alla sedia elettrica rivolgendosi a Westland, dirà: “Non ho paura se tu vieni dopo di me”.

Il coraggio è venuto dal trovarsi vicino a Westland, mentre alla stoicità di Connors e al suo rifiuto del conforto religioso si sostituiranno la mera rassegnazione e la richiesta di perdono per una via migliore.

Westland, una volta libero, lascia la sua fidanzata. Il perchè non lo dico. L’ultima battuta è una al vetriolo. A Crane che gli dice simpaticamente: “Non preoccupatevi troppo per miss Martin, amico mio. Per una che perdete, ne ritroverete dieci!”, lui risponde: “E chi diavolo ne vuole dieci?” (pag. 175). Insomma è come se avesse detto sarcasticamente:

“Una cercavo, e m’è pure capitata put..!.”.

Grande, Latimer!

 

 Pietro De Palma

 

 

Jonathan Latimer : Destinazione Sedia Elettrica (Headed for a Hearse, 1935) – trad. Bruno Tasso – Serie Gialla Garzanti “Le tre scimmiette” N. 54 del 1955 – I Classici del Giallo Mondadori N.726 del 1994ultima modifica: 2014-04-12T19:53:38+02:00da lo11210scriba
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