Un Mystery firmato Stefano Di Marino

Stefano Di Marino – Il Palazzo dalle Cinque Porte – Il Giallo Mondadori N.3100 del 23 febbraio 2014.

Ho sempre guardato con occhio severo alla partecipazione italiana al mystery, non perché sia “bastion contrario” per partito preso, ma perché, in passato, di originalità ne ho vista poca. Parimenti sono stato sempre attento al tono con cui parlarne, per rispetto nei confronti di chi scrive, avendo provato anch’io a scrivere e quindi avendo sperimentato quanto sia difficile farlo. Purtuttavia, ho sempre cercato di formare il giudizio improntandolo all’originalità della lettura.

Di originalità, nella fattispecie, non è che ce ne sia stata molta negli anni passati in opere di autori italiani, almeno in grado di impressionare, tranne qualcosa: mi ricordo soprattutto dell’opera prima di Giulio Leoni, Dante Alighieri e i delitti della medusa , che innovò il filone storico del Giallo (cominciato decadi fa da Josephine Tey e da J.D.Carr e rinverdito poi da Paul Doherty, Peter Tremayne e Ellis Peters) affidando il ruolo del detective ad un personaggio storico famoso; poi ci fu Lorenzo Arruga, famoso musicologo italiano, che tentò il Mystery di ispirazione musicale (tramontato dopo due tentativi); e anche il tentativo di Luceri (che mischiò il giallo d’atmosfera al gotico). Ma altri tentativi di innovare la letteratura poliziesca italiana non è che mi abbiano molto impressionato, tranne qualcosa della Baraldi, di Lucarelli e ovviamente di Camilleri. Oltre questi autori c’è Stefano Di Marino, che fa gruppo a sé, perché non a caso è il più grande e prolifico autore di letteratura di genere in Italia (. Del resto ho sempre detto, anche quando ci confrontavamo in opposte fazioni nell’ambito delle discussioni appassionanti all’interno del Blog Mondadori, soprattutto quattro-cinque anni fa, che è autore di razza, sapendo ben scrivere e raccontare. Tuttavia, non avrei mai pensato di leggere un suo romanzo mystery, seppure in un’ottica contemporanea, in quanto da sempre è autore versato all’Hard Boiled, al romanzo d’azione e alla Spy-Action. Segno che i tempi cambiano, e le posizioni granitiche non giovano a nessuno, come mi ha risposto in un post giorni fa.

Di Stefano ho molto poco a casa: soprattutto Segretissimi. Non mi piace molto l’action (mi stufa dopo un po’) soprattutto quella “tutta azione”: ecco perché i romanzi di Spillane, pur possedendoli quasi tutti, non mi piacciono. Mi piace molto di più l’Hard Boiled venato di sfumature, alla McCoy o alla MacDonald. Insomma mi piace tutto ciò che è classico. Tuttavia Stefano sa scrivere. Questa è la caratteristica sua peculiare: è un dono che ha. L’unica cosa che non mi è mai andata giù è che fosse diventato una sorta di apripista per tutta una serie di autori, che passavano per la nuova leva italiana, ma che sembravano a me ed ad altri (mi ricordo dei commenti di Fabio Lotti su Sherlock Magazine) solo dei suoi cloni; da ciò derivò l’avversione mia e di altri a quel tipo di narrativa (che  non escludo tuttavia che ad altri possa essere piaciuta)  che prese come esempio la trilogia di Montecristo e che imperversò anni fa per del tempo.

Ecco perché quel volume in edicola mi ha attirato: non è stato amore a prima vista, piuttosto si è trattato di un’attrazione fatale. E’ come se mi adocchiasse dallo scaffale e mi invitasse a prenderlo in mano. Poi non ce l’ho fatta più e l’ho acquistato; e ne sono rimasto incantato. Non credo che abbia letto negli ultimi anni, con maggior passione di questo, qualche altro romanzo di scrittore italiano che abbia scritto Gialli, tranne il primo romanzo di Giulio Leoni con protagonista Dante Alighieri ( Dante Alighieri e i Delitti della Medusa): un altro straordinario inizio.

Il famoso illusionista e studioso di storia arcana, Sebastiano “Bas” Salieri, è invitato a Venezia perché nominato erede del “Palazzo dalle cinque porte”, un palazzo antico di Venezia, che suo zio Mattia ha restaurato profondendovi energie e denaro per riportarlo all’antico splendore, lasciandoglielo poi in eredità, quando è morto in circostanze tragiche: nella darsena in cui stava facendo dei lavori, è morto bruciato. Anche il padre di Bas, Pietro, è morto in circostanze poco chiare durante una missione archeologica condotta assieme allo zio, il quale è stato sospettato da Bas di esser coinvolto nella morte del fratello.

Ben presto, sin dal suo primo apparire sul palcoscenico di Venezia,  Bas, ammesso in circoli culturali cui apparteneva lo zio, capisce di essere stato messo in mezzo ad un  piano di cui lui è il fulcro. Le persone con cui trattava lo zio (Zemanian, ricco mercante d’arte; Padre Pardi, un prete, direttore di un Centro Studi romeno; l’amante di Zemanian, Issa Zabulovna, medium e proprietaria di un laboratorio-deposito di costumi e maschere; i coniugi Loredan, lui nobile decaduto, lei, Rossana Chiarentin, proprietaria di una vetreria; lo stesso notaio Parisi; Ascanio Mirri, giocatore incallito e sfortunato) sembrano essere opposte le une alle altre o comunque non essere necessariamente amiche, ma tutte ben presto si rivelano appartenenti ad un medesimo circolo esoterico, una specie di setta occultista, il cui fine è quello di ricercare qualcosa che Mattia Salieri ha cercato non trovandolo. Ecco perché Bas è stato messo in mezzo ad un gioco che è più grande di lui: dovrà riuscire laddove lo zio non è riuscito.

Beninteso, nessuno obbliga Bas a prestarsi al gioco: potrebbe benissimo preoccuparsi di fare altro, o ereditare il palazzo e venderlo . Ma chi lo ha messo in mezzo, sa benissimo che non si sottrarrà al gioco, sempre che di gioco possa trattarsi. E giocherà. Innanzitutto trova una cosa che lo zio aveva vanamente cercato, un oggetto magico diabolico simile ad un sestante ma più complesso: a cosa mai servirà? E da uno degli appartenenti a quel circolo esoterico cui apparteneva anche lo zio, gli viene offerto (in vendita) un dipinto di tale Betto Angiolieri, oscuro artista del ‘500, raffigurante il palazzo in cui lui, Bas, abita: Il Palazzo dalle Cinque Porte (che poi ne ha quattro in realtà). La quinta infatti sarebbe una porta magica, una entrata alchemica, come quella esistente a Roma. Lui scoprirà che questo Angiolieri ha disseminato per Venezia, quarantatre raffigurazioni di quello che sembra un drago o comunque un serpente magico, che poi si rivela essere un Basilisco, secondo un ordine ben preciso, che deve condurre ad un certo luogo. Gli stessi  adepti della setta hanno adottato lo stesso termine in uso cinque secoli prima presso un circolo esoterico molto ristretto, cui appartenevano alcuni nobili e persino un doge dell’epoca : I Figli del Basilisco.

Non è un gioco. E c’è un male antico che sovrasta le azioni che si svolgono: Maddalena, un’amica di Bas, medium e studiosa di occultismo, dopo esser riuscita a mettere in guardia Bas, viene uccisa in maniera feroce, non senza esser riuscito a fornire le tracce, che solo lui potrà decifrare, per arrivare ad un testo che lei ha nascosto in casa sua: Il Compendium Arcani. Tramite questo tomo, Bas e un’altra sua amica e amante, Martina, nipote del notaio Parisi, riescono a comprendere come lui Bas, sia uguale nei lineamenti del viso ad un suo antenato, tale Radu Salieri, capitano di ventura e avventuriero romeno, che aveva rubato il segreto della cantarella, il veleno dei Borgia e aveva portato con sé il segreto di antico codice che sarebbe servito ad aprire il cosiddetto Oculum Diaboli, una porta per accedere all’Inferno, luogo di conoscenza, per chi ci crede.

Ben presto moriranno anche il notaio Parisi (avvelenato in una Camera Chiusa); la moglie separata del nobile Loredan, dopo aver cercato di uccidere Martina e Bas nel ritrovo antico di Betto Angiolieri racchiuso in una vetreria in disuso; Ascanio Mirri, dilaniato dalle eliche di un natante, quando stava per rivelare qualcosa a Bas; la stessa amante di Zemanian, caduta in una botola del suo laboratorio, aperta da non si sa chi; poi infine, laddove dovrebbe aprirsi l’Oculum Diaboli, anche vengono uccisi Zemanian, Pardi e Loredan: insomma una mattanza. Tuttavia al plot del Mystery si interseca un subplot, costituito dalle apparizioni del fantasma di una giovane donna, che prima appare solo a Bas poi agli altri, nel corso di una seduta spiritica, che chiama in causa diretta per la sua morte. Il fantasma apparirà per l’ultima volta proprio su un isolotto laddove avrà luogo il drammatico finale, molto gotico, in cui verranno dipanati molti misteri, tutti assieme, e appariranno per l’ultima volta, anche in vita, il maggiordomo di casa Salieri, Bepin, e l’amante di Bas, Martina.

Molte altre cose accadono nel corso di questo mystery che amalgama razionalità tipica del poliziesco deduttivo ad atmosfere sovrannaturali tipiche del genere fantastico.

Si è detto, lo ha affermato anche l’autore, che questo romanzo sia nato dai ricordi di tutti quegli sceneggiati e anche films, che lui aveva visto negli anni ’70. “La casa dalle finestre che ridono”, di Pupi Avati innanzitutto, mi pare che lui abbia citato da qualche parte (il finale del romanzo mi sembra ispirato dal finale del film, soprattutto dal colpo di scena, del prete che si rivela altra persona, come Bepin nel romanzo di Di Marino) e qualcos’altro di Bava tra i films, mentre tra gli sceneggiati è evidentissimo il numero di citazioni da “Il Segno del Comando” di Daniele d’Anza, a significare quanto sia stato importante nell’ invenzione del plot di questo romanzo: la reincarnazione di Radu Salieri in Bas Salieri (Forster-Tagliaferri in ISDC), l’apparizione del fantasma di Ludmilla Szaresku morta precedentemente (L’apparizione del fantasma di Lucia, modella del pittore Tagliaferri, in ISDC), una seduta spiritica in cui opera una medium, Issa Zabulovna (Lucia in ISDC); un negozio- deposito di costumi; dei nobili decaduti: qui I Loredan, in ISDC il Principe Anchisi; poi c’è un artista maledetto che nel romanzo di Stefano è Betto Angiolieri, mentre nello sceneggiato era Lorenzo Brandani;  un oggetto magico: qui una specie di sestante, nello sceneggiato proprio Il Segno del Comando, un medaglione; infine un bassorilievo che appare qua e là: in ISDC era una civetta, qui è un basilisco. Insomma i riferimenti sono tantissimi.

Tuttavia Di Marino non attinge solo dallo Sceneggiato RAI, Cult degli anni ’70, ma anche da altri: da “Ritratto di Donna Velata” (fantasma e reincarnazioni) a “I Compagni di Baal”, sceneggiato francese, soprattutto per la setta che si riunisce in grotte, e i cui adepti mascherano le proprie sordide ambizioni sotto la rispettabilità di ogni giorno. Vi sono altri riferimenti: il fantasma che entra anche nel finale, trasforma prepotentemente il romanzo poliziesco in un romanzo a metà tra il poliziesco ed il fantastico, ritrovandosi sulle orme di Carr: curioso che proprio Di Marino abbia copiato il famosissimo autore americano specializzato in camere Chiuse (tra l’altro la morte del notaio Parisi è in una Camera Chiusa dall’interno, risolta a parere mio non brillantemente: per spostare una chiave che è all’interno di una serratura ci vorrebbero delle pinzette molto sottili e così si lascerebbero dei segni sulla chiave, ma fare quello che dice Stefano è materialmente impossibile, a meno che ad imbrigliare la chiave non fosse un sottile filo di ferro. Ma anche in questo caso, la struttura non avrebbe quella sufficiente durezza che assicurerebbe la possibilità dall’esterno di manovrare la torsione riuscendo effettivamente a sortire un risultato: In questo caso si vede come Di Marino non sia avvezzo, a parer mio, alle Camere Chiuse!) , ma mi ricordo di aver letto in una sua intervista, che uno dei romanzieri che più aveva letto quando era giovane era stato Carr. Apparentemente potrei dire che il riferimento privilegiato a questo punto potrebbe essere The Bourning Court (La Corte delle Streghe ) in cui la vicenda sovrannaturale, corre al fianco di quella razionale; tuttavia a me sembra che se un lavoro di Carr egli possa aver seguito, potrebbe essere più di The Bourning Court ,

The Door To Doom , famoso racconto del 1935 in cui una figura simile al Comte de Villefleur, ucciso un secolo e mezzo prima, viene visto sul luogo del misfatto. Ma non vi è solo Carr: vi sono anche Milos Forman (l’Antonio Salieri contrapposto a Mozart) e persino Martin Mystere: come non confrontare le linee d’energia che attraverserebbero il pianeta terra presenti in molti fumetti di Mystere con le linee che simili a meridiani e paralleli attraverserebbero il pianeta determinando ai punti di convergenza i portali, che la specie di sestante è in grado di individuare?

Il quadro di Angiolieri che lo attira, a significare che nasconde qualcosa, mi ha fatto venire in mente una serie di telefilms della fine degli anni ’60, Wild Wild West, in cui in un episodio, i protagonisti venivano trasferiti nel  paesaggio di un quadro, ma soprattutto “La Tavola Fiamminga” di Perez Reverte, in cui in un quadro si nasconde un mistero. E lo stesso finale, mi ha in qualche modo fatto ricordare soprattutto un altro romanzo di Reverte, Il Club Dumas, in cui la storia è per certi versi simile (un codice che porta alla rivelazione di un segreto, nascosto nelle incisioni del Libro delle Nove Porte, in una trama che parla di Scienze Occulte e Magia Nera, e dell’apertura di nove porte con rituali satanici).

Ma sarebbe un errore dire che Stefano Di Marino abbia solo attinto dagli altri. NO. Stefano ha preso indubbiamente delle cose, inserendole però in un racconto affascinante, legandole mirabilmente in un affresco talmente vivido di Venezia, da far dimenticare che alcuni luoghi sono sicuramente inventati. Tuttavia, l’aver mischiato elementi inventati con altri reali, ha creato un luogo mitico, leggendario come quello della Roma misteriosa di Il Segno del Comando, in cui il Quartiere Monti è trasfigurato in un qualcosa che non esiste.

Per di più, Stefano Di Marino ha creato un romanzo che forse non sarà piaciuto a chi ha seguito le vicende di Montecristo, ma a me parecchio, soprattutto perché ben scritto: ricreando un ambiente fantastico, attraverso le inserzioni di riferimenti e personaggi e opere che in quel contesto sarebbero potute essere anche vere, e attraverso descrizioni così accurate da far nascere il sospetto che abbia mischiato abilmente contesti veri con altri immaginari,  forma un’opera assai ben scritta e con una tensione palpabile, che poi viene, man mano che ci si avvicina al finale catartico, accelerata. Essa è in funzione di due elementi ben distinti: l’uso di elementi acclarati (la nebbia, l’oscurità, la luna, la presenza di elementi sovrannaturali, tipo un fantasma, una seduta spiritica) per create atmosfere significative; l’uso di elementi stilistici per accentuare la tensione e il thrilling: all’interno della struttura dei paragrafi, i periodi vengono, in base alla tensione che si vuole ottenere, opportunamente accorciati, così da colpire nella loro essenzialità, come tante stilettate.

Indubbiamente Bas è lo stesso Stefano, o meglio quello che lui sarebbe voluto essere: sono sicuro che vi ha immesso dei particolari propri (come sempre si fa), che sono nella fattispecie caratteristiche legate al modo di vestire e di camminare. A pag. 24 si legge:  “..rimase sotto la doccia bollente, sinchè la pelle non fu rossa. Senza curarsi di asciugare i capelli, cambiò biancheria e indossò un paio di pantaloni scuri e una camicia cremisi fuori della cinta: Piedi nudi. In quel modo riusciva a cogliere meglio le sensazioni della casa”. Ora in una foto tempo fa lo stesso Di Marino si è fatto riprendere con una camicia cremisi addosso. Non ho visto il resto, ma mi sembra plausibile pensare che abbia immesso nel personaggio da lui creato un suo modo di fare. Il fatto di camminare a piedi nudi, per cogliere meglio le sensazioni della casa (attraverso il contatto col pavimento) mi ha fatto pensare del resto a Ivo Pogorelich, il pianista famoso parecchi anni fa, che utilizzava una specie di pantofole in raso per sentire materialmente il pedale del pianoforte e dosare più opportunamente la forza al fine di ottenere un effetto il più calibrato possibile nella resa del suono.

A Stefano piaceva o meno Pogorelich?

Mah, che a Stefano piacesse  o meno il pianista croato, è indubbio che abbiamo seguito gli stessi stimoli da giovani: a me piacevano da matti gli sceneggiati anni ’70, piace Martin Mystere, piace moltissimo Carr. Un bel giorno abbiamo cominciato a leggere altre cose, ma l’età e i ricordi sono simili.

Spero solo che questo non sia un romanzo isolato nella sua produzione narrativa.

Pietro De Palma

Un Mystery firmato Stefano Di Marinoultima modifica: 2014-03-16T22:50:08+01:00da lo11210scriba
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