Jacques Futrelle: Il Problema della Cella 13 – I Bassotti, Polillo, 2002

Jacques Futrelle. Il Problema della Cella 13 (The Problem of Cell, 1905) – trad. Luigi Viganò – I Bassotti N.6, Polillo Editore, 2002

 

copertine gialli blog 039.jpgPuò mai essere che l’invenzione di un personaggio fittizio abbia potuto mutare la storia? In assoluto no certamente, ma nella fattispecie del genere letterario, sicuramente sì.

Jacques Futrelle nacque in Georgia nel 1875, figlio di un insegnante. Ancora giovane intraprese la carriera di giornalista prima all’Atlanta Journal, poi al Boston Post, poi di nuovo all’ Atlanta Journal. Nel 1895 si sposò: sua moglie, Lily May Peel, in quattro anni gli diede due figli: Virginia nel 1897 e John nel 1899; e intanto i due si erano trasferiti a New York, lavorando Jacques stavolta al New York Herald. Il pellegrinaggio nelle sedi dei giornali non si fermò qui: nel 1904 si era di nuovo trasferito, questa volta a Boston, con il Boston American. Si può dire che proprio l’attività presso questa testata gli fornì l’energia per tentare l’attività dello scrittore a tempo pieno: apparvero infatti, sulle colonne del giornale, le avventure del Professor Van Dunsen, Il genio dei genii, uno Sherlock Holmes all’ennesima potenza, poi riprese nell’antologia The Thinking Machine (1907), seguita da altra The Thinking Machine on the Case (1908). Per strano che possa essere, tuttavia, il personaggio che gli permise di divenire super famoso, non venne mai utilizzato nella stesura di romanzi, e così Futrelle si può dire sia divenuto un’icona, nel genere poliziesco, solo per queste due raccolte. Seguirono anche dei romanzi, ma su quello che egli sarebbe potuto diventare, nessuno può dare garanzia, visto che ancor giovane, a 37 anni, perì nell’affondamento del Titanic, dove si era imbarcato con la moglie, per ritornare dai figli che li aspettavano in America, loro che erano andati in Europa per cercare consensi e scritture editoriali: ebbe appena la forza di farla salire su una scialuppa e poi la salutò, per sempre, fumando una sigaretta, sulla nave già inclinata. La fama postuma di Jacques Futrelle è legata a due fatti che hanno mutato la storia: l’affondamento del Titanic il 15 aprile del 1912, e l’invenzione del personaggio del Professor Van Dunsen, detto anche The Thinking Machine, “La Macchina Pensante”. Tuttavia, nell’ambito della sua opera collettiva, non tutto è conosciuto, tranne uno dei racconti della raccolta del 1907, The Thinking Machine: The Problem of Cell 13 (1905), l’opera per cui Futrelle è passato alla storia. E’ in sostanza la storia di una sfida,quella che il Professor Van Dusen, un essere che dall’aspetto rachitico, dal volto emaciato, ma dalla testa spropositata, dalla fronte larga e da una gran zazzera arancione di capelli, muove a due suoi interlocutori e amici, Charles Ransome e Alfred Fielding, che non credono alla capacità sua, sulla base del solo ragionamento e della logica pura, di sconfiggere ogni avversità, anche la più estrema. Così, quando lo sfidano a fuggire da una prigione sorvegliata, e in particolare dal braccio della morte del penitenziario di Chisholm, lui a sua volta risponde, nella loro incredulità, che evaderà entro una settimana. Anzi, con sarcasmo e sicurezza ostentata, ordina alla cuoca di preparare, a distanza di una settimana da quel giorno, per cena, i carciofi come piacciono a Ransome. Poi entra nel carcere. Il direttore del carcere ostenta a sua volta sicurezza: dal suo carcere non è mai fuggito nessuno, né tantomeno fuggirà. Vi sono sette porte da varcare per arrivare alla Cella n.13, nel braccio della morte, che è chiusa da una pesante porta di acciaio, con delle sbarre al di sotto: nella cella non c’è nulla al di fuori di una brandina. Prima di entrare deve consegnare tutti gli oggetti personali e i vestiti, chiedendo solo: che le sue scarpe siano lucidate, di poter portare una camicia bianca, pantaloni, calze, e di avere delle banconote. Nient’altro. Ben presto comincia a stupire il direttore: viene beccato mentre cerca di comunicare con Ransome, mediante una striscia di cotone, su cui vi è uno scritto incomprensibile, fatto per mezzo di un codice: alla perquisizione della cella risulta che la stoffa è stata strappata dalla camicia, che gli viene sequestrata e sostituita da una giacca carceraria. Ma nessuno tuttavia riesce a capire come e con che cosa egli sia riuscito a scrivere, visto che non viene trovato nulla. Nei giorni successivi lo vedono spesso carponi mentre cerca di acciuffare numerosi topi che entrano nella cella, topolini di campagna: per quale ragione nessuno lo sa. Passano i giorni, e si nota che egli cerchi di corrompere o far passare dalla cella numerose banconote, non del taglio di quello che era stato consegnato all’atto dell’imprigionamento: come avrà fatto a procurarsele, quando nessuno ammette di sapere nulla? Il direttore del resto afferma di fidarsi ciecamente dei propri uomini, e da quello che leggiamo la cosa è perfettamente vera.E allora? Fatto sta che un bel giorno, di notte, sentono un macello provenire da una cella del braccio della morte: pensano si tratti di van Dusen, ma quello dorme beato: il baccano proviene invece da una cella situata esattamente sopra quella dello scienziato, in cui il detenuto, accusato di aver buttato dell’acido in faccia ad una donna, grida la propria colpevolezza, che mai prima d’ora aveva ammesso, sulla base di voci che sono venute a tormentarlo. Una in particolare mormorava: “Acido..acido”. Poi si registra un black-out, mai verificatosi prima d’allora, e, successivamente a ciò, Van Dusen riesce ad evadere, mentre nessuno al di dentro del carcere pare essersene accorto: del resto il secondino, quando si affaccia per controllare, vede una zazzera bionda. E allora? Come avrà fatto Van Dusen,? Il povero direttore, che aveva giurato di dimettersi semmai Van Dusen fosse riuscito nel suo intento, se lo ritroverà davanti, dopo aver chiamato una ditta esterna per eliminare il black-out delle luci del penitenziario, sotto le mentite spoglie di uno dei due giornalisti, (l’altro è Hutchinson Hutch, una vecchia conoscenza del direttore del carcere) che sono appena un attimo prima arrivati. La spiegazione della fuga farà restare Ransome, Fielding ed il direttore del carcere a bocca aperta. E con loro, tutti i lettori che mai si avvicineranno a questo lungo racconto. Una sola cosa anticipo: l’inchiostro e la penna di cui Van Dusen si era servito più volte (altre, in aggiunta alla prima, e sempre su strisce di cotone bianco che non si capiva da dove provenissero e dove fossero state occultate): l’inchiostro era stato formato dal lucido per scarpe grattato dalle scarpe e disciolto in acqua, mentre il pennino di cui il professore si era servito, era stato la punta metallica delle stringhe delle scarpe. Perché il racconto ebbe tanto successo? Innanzitutto il personaggio: Van Dusen è un clone di Sherlock Holmes, ma all’ennesima potenza. Segue un po’ la falsa riga del principe Zalenski di Shiel, un nobile che in forza del suo ragionamento logico riesce a sbrogliare ogni matassa anche la più complessa. Mi sembra che i due personaggi siano molto simili, dal fatto che entrambi rifuggono dall’azione, da cui il personaggio di Sherlock Holmes invece non rifugge. Del resto altri autori del tempo, inventano personaggi che si adattano alla figura di Holmes non solo per doti logiche ma anche temperamentali e fisiche: innanzitutto Gaston Leroux che inventa il personaggio che diverrà famosissimo di Rouletabille, c’è Maurice Leblanc che inventa un personaggio ancor oggi famosissimo, molto letto e molto tradotto: quello di Arsene Lupin, ladro gentiluomo, dotato di requisiti pari a quelli di Holmes, ed in più seduttore di belle donne: in alcune avventure Leblanc gli contrapporrà un clone sfortunato di Sherlock Holmes, Herlock Sholmes, che uscirà sempre sconfitto dal duello con Lupin. Ma anche altri autori inventarono cloni di Holmes e tutti nel periodo agli inizi del ‘900, conseguenza dell’enorme successo del personaggio doyliano: per esempio George Meirs che inventò i due personaggi di William Tharps, “il celebre poliziotto inglese”, e quello di Walter Clarck, pure definito “Il celebre poliziotto inglese”. Ma il personaggio di Van Dusen fu usato per molti racconti: perché proprio questo ebbe particolare fortuna? Beh, io una teoria l’avrei. Secondo me la fortuna di questo romanzo va cercata proprio nel soggetto, la fuga da una cella guardata a vista. In quegli anni anche un altro personaggio faceva parlare i giornali delle sue imprese: si trattava non di un europeo, bensì di un americano. E non si trattava di uno scrittore, ma di un illusionista: Harry Houdini, famoso ancor più per le sue fughe impossibili, che proprio in quegli anni, quelli in cui viene ideato e pubblicato il racconto (1905), raccoglieva ovunque il calore entusiastico delle folle. In particolare, Houdini, dopo esser visuto 4 anni in Europa, nel 1904 era tornato, attorniato da un alone di leggenda, in U.S.A. I tempi, troppo stretti e coincidenti quasi, suggeriscono una filiazione evidente ed una correlazione tra i due personaggi (uno vero: Houdini) ed uno fittizio (Van Dusen). Stabilite le origini, l’importanza del racconto risiede piuttosto nella soluzione della fuga dalla cella, che negli avvenimenti accessori, anche questi spiegati, che hanno una funzione di cornice e servono a spiegare le stranezze, che di per sé attengono all’atmosfera. Non c’è dubbio, ancor prima che si giunga alla soluzione finale, che Van Dusen non può esser fuggito da solo, ma solo ricorrendo all’aiuto di altre persone, che non sono i secondini o il direttore del carcere: del resto una frase finale o quasi, del testo, è rimasta celebre: “Ogni prigioniero ha un amico, fuori, disposto ad aiutarlo ad evadere (op. cit. pag. 59).. E’ altresì evidente quanto il racconto sia importante per la teoria delle Camere Chiuse e per la soluzione di alcune di esse: tra le Camere Chiuse più famose , un posto particolare hanno quelle che si rifanno alla soluzione presente in questo racconto, per essere spiegate, ossia la presenza di un complice che fa sì che il delitto o comunque il reato, che altrimenti non sarebbe stato possibile, risulti impossibile da essere classificato come un omicidio (quasi sempre c’è un delitto) e ancor più come un suicidio: il complice non è l’esecutore materiale, cosa che accade anche nel nostro racconto, ma un fiancheggiatore, un complice che dall’esterno favorisce la fuga dalla camera chiusa del colpevole, mettendo in atto tutte le mosse perché esso non possa essere inizialmente inquadrato. L’ingegnosità, qui, sta dolo nel capire, attraverso quale via, Van Dusen ed X, abbiano potuto stabilire una via di comunicazione: indovinata quella, il tutto diviene estremamente semplice.

O quasi.

Pietro De Palma

Jacques Futrelle: Il Problema della Cella 13 – I Bassotti, Polillo, 2002ultima modifica: 2013-05-30T07:41:31+02:00da lo11210scriba
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6 pensieri su “Jacques Futrelle: Il Problema della Cella 13 – I Bassotti, Polillo, 2002

  1. Esiste una versione nei GEM anteguerra, una nella Compagnia del Giallo ed un’altra in una edizione dell’Unità,del 2002, che riprendeva le due edizioni precedenti.
    Quella dell’Unità, che possiedo, oltre ad avere il racconto oggetto della mia analisi, ne ha altri tre.

  2. Gentile Piero,
    ha qualche notizia biografica su George Meirs? Ricordo con diletto i vecchi Sonzogno, ma dell’autore non sono mai riuscito a sapere alcunché.

    • MEIRS, George. Scrittore francese, pseudonimo di Adrien Jean Remy Machaux. Altri pseudonimi: A.M.,Adrien Meria, Jean Mires, William Thook, WealAsmode, Dayle, Hema. Nacque il 21 maggio 1878 a Reims. Dopo gli studi alla scuola di Belle Arti di Parigi, diventa disegnatore. Con lo pseudonimo di Adrien Meria, lavora per Le Rire, La Fin de Siecle, Frou-Frou e L’Assiette au Beurre. Fonda riviste satiriche, la piu` famosa delle quali, La Gifle, e` celebre per i suoi virulenti pamphlet. Nel 1911 George Meirs scrive la prima delle 22 famose avventure del detective inglese William Tharps . I primi libri, con copertine firmate da lui, sono scritti in collaborazione con J.M. Darros, alias Edmond Fricot.
      Anche Tharps, come altri eroi postsherlockiani, e` un emulo di Sherlock Holmes. Logico, dandy ed esteta, ha pure lui il suo Watson, l’avvocato Pastor Lynham, oltre a un nemico cronico, Ludovic Marmont, che ha molti tratti in comune con Arsene Lupin.
      Molte avventure di Tharps sono storie di spionaggio. Dopo le 22 avventure con William Tharps, Meirs tenta una nuova serie con un eroe piu` giovane, Walter Clark, che però avrà vita breve.
      Durante la guerra, George Meirs comincia per Tallandier la novelization di un celebre serial Les Vampires, firmata con il
      regista Louis Feuillade, che racconta la lotta tra il giornalista Guerande e una misteriosa banda di criminali agli ordini di malviventi dai nomi evocatori: Le Grand vampire, Satanas, Venenos e Irma Vep. (Nota come per esempio anche il Rouletabille di Le mystère de la chambre jaune, di Gaston Leroux, è un detective-giornalista. E sicuramente Meirs può aver preso qualcosa da Leroux. In Francia fino agli anni ’60 l’attività di detective spesso è stata associata a quella di giornalista: vedi per esempio come in una celebre serie televisiva, Les Compagnons de Baal, con il mai dimenticato Jean Martin, il detective è un giornalista.
      Dopo la guerra, Meirs scrivera` solo Monsieur le depute et sa maıtresse (1924), romanzo sul malcostume dei parlamentari
      che fara` scandalo. Le fonti che ho io, lo danno morto nel 1962 (?).

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