Il debutto di John Bingham : Mi chiamo Michael Sibley – C.G.M. 1295 del 2012

 

John BinghamMi chiamo Michael Sibley (My Name Is Michael Sibley, 1952) – trad. Vittoria Comucci – Classici de Il Giallo Mondadori N° 1295 del 12 aprile 2012


sibleyprev.PNGJohn Michael Ward Bingham non dice alcunché in Italia, eppure è un autore molto conosciuto in Inghilterra.

Di origine nobile (fu il settimo Barone Clanmorris of Newbrook), nacque nel 1908. Fu educato nelle migliori scuole e poi durante il secondo conflitto mondiale, volle arruolarsi come volontario, ma fu scartato per un difetto alla vista. Tuttavia fu arruolato nel MI5, Il Controspionaggio militare britannico, nel quale servì non solo durante la guerra, ma anche per parecchio tempo dopo, fino agli anni sessanta inoltrati.

La sua figura fu presa ad esempio da John LeCarrè per il personaggio di George Smiley.

Scrisse parecchi thrillers, gialli classici e storie di spionaggio.

In Italia è stato parecchio tradotto nei primi anni ’50 (Romanzi de Il Corriere della Sera), poi è seguito un periodo di oblio, dal quale è riemerso con la pubblicazione per Mondadori, proprio del suo primo romanzo. Alcuni suoi lavori sono stati adattati per il piccolo schermo da Alfred Hitchcock. E’ morto nel 1988.

My Name Is Michael Sibley, 1952 è una storia in prima persona.

Michael Sibley è un giornalista che è fidanzato con Kate Marsden. E’ stato amico di John Prosset, sin dai tempi dalla scuola. Strana amicizia quella con John! Più che amicizia, dovremmo chiamarla una sorta di vassallaggio, un riconoscimento della propria debolezza spirituale ed un riconoscimento della forza altrui. John gli è stato amico ma anche nemico: insomma un’amicizia strana in cui amicizia e odio hanno formato un connubio strano ma duraturo, almeno sino a quando Michael si è allontanato dall’ambiente di casa. Ma Prosset si ì rifatto vivo per caso, più tardi: i due si rivedono per caso e l’occasione fa sì che i due ricomincino a frequentarsi. Michael fa lo sbaglio di presentargli la fidanzata e allora il falso amico, per scherzo, uno scherzo di pessimo gusto, insomma per ridere alle sue spalle, gli insidia la fidanzata, non perché voglia conquistarla ma solo per il gusto di rompere le scatole all’amico. Insomma, l’amicizia o quel che sembrava, presto cede il passo al vero e proprio astio, all’odio di Michael per John e i due hanno un violento alterco.

Michael va via. L’indomani viene a sapere che John è morto in seguito all’incendio della sua villetta. Fin qui nulla di anormale, e la cosa sembra destinata ad essere archiviata come un incidente, fin quando qualcuno comincia a sospettare che l’incendio abbia coperto un assassinio.

Michael era stato dall’amico poco prima che questi morisse, e allora inspiegabilmente, per una irragionevole paura, ai funzionari di Scotland Jard, Ispettore e Sergente, recatisi da lui per interrogarlo in merito alla sua passata amicizia con Prosset, Sibley comincia a mentire. E man mano che dice delle bugie, deve inventarne altre che rendano plausibili quelle precedenti. Questo incastro traballante, lo porta anche a chiedere alla sua compagna di sostenere le sue bugie, nate anche in seguito a una sua superficialità nel lasciarsi alle sue spalle tutta una serie di azioni che lo rendono se non colpevole almeno fortemente sospettabile.

Per cui cerca a questo punto di sapere cosa possa una sua passata fidanzata Cynthia Harrison aver detto alla Polizia e ne ricava la certezza che quella ha raccontato alla Polizia delle cose che possono metterlo in cattiva luce; per di più egli inspiegabilmente ha avuto con sé da parecchio tempo un tirapugni ed ora ritiene che il possesso di quell’oggetto potrebbe arrecargli dei fastidi; infine, un altro trascurabile fatto lo fa assurgere a colpevole perfetto agli occhi di Scotland Yard: pensando che lui sia l’assassino di Prosset, la polizia pensa che di frugare tra le sue cose e così viene a sapere dalla domestica di Joh  che i suoi abiti completi non sono più 5 ma 4: quello mancante può spiegarsi con la sua distruzione perché sporco del sangue di Prosset? Scotland Yard pensa di sì, ma non sa che Michael ha regalato uno dei suoi cinque abiti, il più liso, ad un  reduce di guerra che gli ha ispirato sentimento di carità. Fatto sta che tutte queste circostanze unite alle bugie colossali che ha inventato, fanno sì che egli sia arrestato per l’omicidio dell’amico.

Sulla base di uno specifico odore, egli pensa che il socio in affari di John , che egli immagina poco puliti e legati al contrabbando, sia il vero assassino dell’amico ma non ha nulla per dimostrarlo.

Intanto si celebra il processo per omicidio a suo danno. Il dibattimento prende una piega ostile e a suo danno, e quando Sibley si dà oramai per spacciato e ritenuto di omicidio di Joh  Prosset, ecco che l’avvocato difensore di Sibley, mettendo in seria difficoltà una testimone a carico dell’accusa, la cui testimonianza era ritenuta decisiva per l’incriminazione del suo assistito, causa l’assoluzione di Sibley, la sua libertà, e il successivo sposalizio con Kate rallegrato dalla nascita di due figli.

Strano ma affascinante romanzo.

Innanzitutto il debutto di Bingham non è un classico romanzo di detection ma qualcosa di innovativo, anche per l’epoca in cui fu scritto: prende le distanze da tutti i romanzi che fino a quel momento erano stati scritti, e non propone affatto una storia in cui il fine sia l’acciuffamento del colpevole, ma invece la sua liberazione. Non è importante cioè che la polizia arresti l’assassino quanto che non becchi una cantonata arrestando e facendo condannare un innocente. Questi, da par suo però fa di tutto perché la polizia pensi che lui davvero sia il colpevole, comportandosi in un modo che dire superficiale è dire assai poco.

Sibley è uno qualunque, neanche poi uno stinco di santo (se davvero fa la corte alla prima sua “fiamma” non per trasporto emotivo ma per ben altro), ma è comunque un innocente, travolto dal peso degli eventi, che comincia a comportarsi in maniera irrazionale in quanto non ha la benché minima considerazione o fiducia della polizia. Al tempo il romanzo fece sensazione perché descriveva il modo non sempre leale delle polizia di svolgere un’indagine.

La cosa interessante della storia è che essa alla gfine non è altro che una singolar tenzone, un duello che combattono Sibley e i due poliziotti che lo braccano: lui nel dire panzane sempre più grosse e i poliziotti nel metterne in luce le grossolane velleità. Ma anche..un duello tra comportamenti: quello di Sibley di nascondere la verità, quello della polizia nel non rendere manifeste le proprie vere intenzioni. Sullo sfondo c’è un vero assassino che non viene mai sfiorato dall’inchiesta, e neanche quando Sibley scampa alla condanna che lui ritiene certa, la polizia ritiene di avviare indagini serie che portino all’individuazione dell’omicida.

Il romanzo è un devastante ritratto psicologico di quello che noi diremmo “un borghese piccolo piccolo” parafrasando un celebre film di Monicelli interpretato da Alberto Sordi, l’uomo comune che sospettato, pur essendo innocente, proprio perché sospettato finisce per costruire la rete in cui alla fine incappa: per paura di essere sospettato, finisce per esserlo davvero.

La struttura del romanzo si basa su due piani temporali che si incastrano vicendevolmente: il presente, in cui avviene l’omicidio e la relativa indagine che poi si indirizza nei confronti di Sibley; il passato, presente in forma di un flash-back prolungato, cui induge Sibley per spiegare il sentimento di vassallaggio, quasi un rapporto masochistico suo nei confronti di Prosset; e le sue donne.  Ogni volta che lui mente alla Polizia e ritiene di aver finalmente dissolto i dubbi, la trappola si stringe; e ogni volta che la tenaglia parrebbe riaprirsi, ad una nuova bugia, si stringe ancor di più. Ed è il suo inconscio a guidare le azioni dei due poliziotti: è come se Sibley cercasse inconsciamente di essere incolpato per pagare il fio delle proprie azioni, per essersi comportato in maniera indegna con Cynthia che ha trattato sino a quando la sua compagnia non si è trasformata in un qualcosa di veramente serio (per lei).

Capolavoro di introspezione psicologica, il romanzo è narrato in prima persona: proprio la mancanza di un’azione narrante impersonale in terza persona, conferisce al discorso la qualità di una riflessione profonda, intima, quella che chiunque di noi potrebbe avvalorare trovandosi nella stessa situazione di sospetto: il ritmo serrato, e privo di pause, l’attesa di nuove bugie, che puntualmente vengono presentate , rende la lettura quantomai tesa, con una tensione molto hithcockiana. Non a caso molti soggetti di Hitchcock riguardano non tanto il colpevole da acciuffare, quanto l’innocente da salvare, che è poi il motivo dominante di questo straordinario romanzo: una corsa contro il tempo, di cui si crede di conoscere l’ineluttabile fine, e che invece riserva un finale dolce. Senza però che l’assassino di Prosset venga acciuffato.

Perché il cattivo per antonomasia qui, non è il colpevole ma la vittima, l’assassinato. E quindi, in ultima analisi, la fanno franca, sia il falso colpevole che il vero.

Se dovesse essere rivelata la morale del romanzo, questa sarebbe la seguente: conviene sempre dire la verità. Le bugie, quasi mai, non vengono scoperte.

 

Pietro De Palma

Il debutto di John Bingham : Mi chiamo Michael Sibley – C.G.M. 1295 del 2012ultima modifica: 2013-04-22T21:11:00+02:00da lo11210scriba
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