Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution, 1957), di Billy Wilder

 

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Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution, 1957) di Billy Wilder – soggetto di  Agatha Christie, sceneggiatura Billy Wilder – Interpreti : Charles Laughton, Tyrone Power, Marlene Dietrich, Elsa Lanchester, Una O’Connor – B/N, 111 min. –  USA, 1957   Distribuzione: Ermitage Cinema

 

Tratto dalla omonima pièce teatrale di Agatha Christie – a detta della stessa scrittrice britannica –  fu il  miglior film tratto da un suo lavoro.

Billy Wilder, quando lo firmò, era già notissimo: emigrato in USA dalla Germania (era di famiglia ebraica: suo madre, il suo patrigno e sua nonna morirono ad Auschwitz), aveva potuto, grazie agli aiuti di altri emigrati di origine ebraica approdati al mondo del cinema, tipo Peter Lorre, continuare l’attività di sceneggiatore che già aveva intrapreso in Germania, facendosi ben presto un nome prima come scrittore imprestato agli studios, poi come regista. Nel 1945, diresse il noir dei noir, La fiamma del peccato, con sceneggiatura di Raymond Chandler, che ebbe la nomination per la migliore regia, vincendo  l’anno dopo i suoi primi due Oscar, in quanto sceneggiatore e regista, con Giorni perduti (1945), un film drammatico sul disadattamento dei veterani di guerra. Il terzo e il quarto Oscar (sceneggiatura e regia) giunsero poi, assieme, nel 1950, con un altro famosissimo noir, Viale del tramonto, con William Holden e Gloria Swanson.. A questo seguirono prima L’asso nella manica, e poi Stalag 17 ( con il quale William Holden conquistò l’Oscar come migliore attore),

Sabrina con Audrey Hepburn, Humphrey Bogart e William Golden e Quando la moglie è in vacanza, con Marilyn Monroe.

Insomma..un regista di gusti eclettici, che nel 1957 diresse Testimone d’accusa.

Per i due ruoli principali Wilder aveva chiesto altri due attori: per la parte di  Leonard Stephen Vole, il suo William Holden, che rifiutò (seguito da altri tra cui Kirk Douglas, Roger Moore, Gene Kelly e persino Jack Lemmon); per quella di Christina, sia Rita Hayworth che Ava Gardner.

Tuttavia i due attori che ottennero la parte, Tyrone Power e Marlene Dietrich erano molto famosi all’epoca: per Tyrone Power, Testimone d’accusa fu il suo ultimo grande successo, perché,  durante le riprese di Salomone e la Regina di Saba, film che iniziò a girare dopo, morì. Aveva già mietuto successi negli anni ’30 e ‘40 (Jessie James il bandito, 1939; Il segno di Zorro (1940); Sangue e Arena (1941); Il cigno nero (1942); La lama del rasoio (1946), affermandosi per la sua prestanza fisica e bellezza, pur non demeritando nemmeno in lavori teatrali: dopo la parentesi bellica in cui aveva prestato servizio come aviatore nei Marines, aveva alternato i suoi ruoli di attore cinematografico con quelli di attore di teatro, riportando grandi successi prima con John Brown’s Body di Charles Laughton (1953) e poi, dalla fine del 1954 alla metà del 1955,  con The Dark in Light Enough; e poi nel 1957 col film Il sole sorge ancora, tratto da un romanzo di Hemingway. Insomma una carriera con grandi trionfi, ma non coronata dall’Oscar.

Stessa sorte per la Dietrich che nel 1929 si era imposta con L’Angelo Azzurro di Josef von Sternberg: dopo essersi trasferita in USA, nel 1940 aveva interpretato Marocco assieme a Gary Cooper, venendo nominata all’Oscar. Erano seguite poi altre grandi interpretazioni, da Shangai Express (1932) a L’Imperatrice Caterina e Capriccio Spagnolo (1935), films che affermarono la sua fama (che si nutriva anche di suoi atteggiamenti anticonformistici: fu la prima attrice a vestirsi da uomo; era dichiaratamente bisessuale: aveva destato scalpore un suo bacio omosessuale) e la contrapposero a Greta Garbo.

Negli anni ’50 era sul viale del tramonto. Comunque la sua partecipazione al film di Wilder fu tale che molti le davano già assegnato l’Oscar, che invece non conquistò.

Insomma due dei tre interpreti principali erano di grande levatura; e ancor più grande era quella di Charles Laughton, che fra l’altro aveva già conquistato l’Oscar, per Le sei mogli di Enrico VIII, nel 1933. Laughton da quel momento aveva accelerato la propria carriera, conseguendo una serie di successi in ruoli quasi sempre negativi, da La tragedia del Bounty (1935) di Franck Lloyd, a La taverna della Giamaica di Alfred Hitchcock. Aveva poi interpretato Notre Dame di William Mieterle, Questa terra è mia di Jean Renoir, Il caso Paradine di Alfred Hitchcock, alternando la carriera di attore a quella di regista con La morte corre sul fiume ( 1955), a quella di attore teatrale, con il Galileo di Bertold Brecht.

Era quindi un attore completo, e già appagato: ma ancora una volta, come già era accaduto altre volte, soprattutto con il già ricordato Le sei mogli di Enrico VIII, aveva la possibilità di recitare al fianco della moglie, Elsa Lanchester, abile interprete, già ballerina e allieva di Isadora Duncan, caratterista che aveva sposato sin dal 1929 Laughton, e si era già messa in luce anche in altri ruoli, soprattutto quello della moglie di Frankenstein, nell’omonimo film, conseguendo una nomination all’Oscar per Le due suore. Insomma una coppia affiatata.

L’unica interprete del film che Wilder aveva voluto fortissimamente e imposto alla produzione (e che aveva accettato il ruolo) era stata l’attrice irlandese Una O’Connor, apparsa in ruoli cinematografici, connessi quasi sempre a thiriller o film polizieschi o horror: Murder! di A.Hitchcock (1930), L’Uomo Invisibile e La moglie di Frankenstein, di James Whale; e che aveva interpretato lo stesso ruolo che ebbe nel film, quello della bisbetica governante, già nel lavoro teatrale originale “Testimone d’Accusa” di Agatha Christie, all’ Henry Miller’s Theatre di Broadway, dal 1954 al 1956. Era quindi predestinata a quella parte cinematografica.

Ma a esser candidati all’Oscar quell’anno, per questo film, invece che la Dietrich,  furono i coniugi Laughton – Lanchester: il primo per l’interpretazione dell’avvocato difensore sir Wilfrid Robarts, la seconda per quello dell’infermiera dell’avvocato, ruolo inventato nel film proprio per permetterle di recitare, che nel lavoro originario non esiste.

La trama è la seguente:

Wilfrid Robarts (Charles Laughton), grande penalista del foro di Londra è stato ricoverato per un attacco di cuore. Quando ritorna a casa sua, assistito, anzi tartassato dall’onnipresente infermiera (Elsa Lanchester) che deve impedire che lui beva brandy e fumi sigari, cose che gli sono stati vietate per le sue condizioni di salute, riceve una visita in cui gli viene presentato un certo

Leonard Stephen Vole (Tyrone Power): costui, gli racconta di essere stato accusato di omicidio per l’assassinio di una signora, che lui frequentava da un poco di tempo, anche allo scopo di farle sponsorizzare, con un prestito di duecento sterline, il brevetto di un frullino da cucina. Lui si dichiara innocente. Robarts inizialmente, per le sue condizioni di salute,vuol mollare la difesa ad un altro avvocato suo amico, ma quando questi ha un breve colloquio con Robarts che gli fa capire che a breve potrebbe essere arrestato ( soprattutto dopo che sul giornale ha letto che il testamento della vittima prevede il lascito di 80.000 sterline a favore proprio di Vole, che dice di non saperne nulla), perché per uccidere aveva un movente abbastanza saldo, e così avviene guarda caso a distanza di pochi minuti.

Dopo che è stato portato via Vole dalla polizia, si presenta a casa sua la moglie di Vole, Christine Helm Vole (Marlene Dietrich) che glacialmente gli dice che il marito è ritornato a casa all’ora in cui veniva altrove commesso l’omicidio; Robarts ricorda alla donna che in Inghilterra la testimonianza della moglie non vale in favore del marito, e allora lei gli rivela di non esserne legalmente e legittimamente la moglie, essendosi sposata mentre un suo primo marito, tedesco, non gli risltava essere morto.

Durante un successivo approccio con essa, Christine gli racconta come abbia conosciuto il marito in Germania, durante l’occupazione alleata, dopo una rissa in un locale in cui lei si esibiva cantando (la Dietrich, famosa per le sue esibizioni mascoline, anche qui è vestita da uomo, ma ad un certo punto un soldato un po’ più alticcio e arrapato degli altri, le strappa una parte dei pantaloni, mettendo a nudo la gamba di Christine. La scena, pare costata 90.000 dollari fu allestita proprio allo scopo di mettere in luce le splendide gambe della Dietrich, che altrimenti sarebbero rimaste nascoste); e come egli in realtà a sua insaputa, non sia affatto il suo unico marito, in quanto prima di lui ne aveva un altro. E che farà tutto il possibile comunque per salvarlo.

Fatto sta che si apre il processo e sfilano i vari testimoni: primo l’Ispettore capo..che racconta come sulla giacca dell’imputato fosse stato trovato del sangue associabile per gruppo sanguigno a quello della vittima: la testimonianza viene confutata da Robarts che ricorda come lo stesso gruppo sanguigno sia quello dell’imputato, che a suo dire si era tagliato con un coltello. Poi spicca la testimonianza della vecchia bisbetica governante della sig.ra Emily French, Janet Mac Kenzie (Una O’ Connor), che racconta come non sia affatto vero, come sostiene la difesa, che Vole fosse a casa sua alle 21.25 della sera dell’omicidio, ma che egli alle 22.10 era ancora a casa della vittima; e che lei aveva sentito, ritornando a casa, che al di là della porta c’era una discussione animata tra la vittima e lui: la sua testimonianza

La sua testimonianza viene confutata, con un abile sotterfugio che dimostra ai giurati come la zitella fosse abbastanza ipoudente da non poter distinguere se la voce sentita al di là della porta fosse stata in verità quella del reo o di altra persona.

A questo punto l’accusa presenta il suo asso nella manica, e sul banco dei testimoni si presenta a deporre..Christine, la moglie di Vole: solo allora il marito capisce perché la moglie non era mai andata a trovarlo in carcere. Christine in pratica denuncia il marito: dice che lui non era vero che fosse rincasato prima, che anzi era rincasato 45 minuti dopo quello che lui aveva dichiarato e al momento del rientro la sua giacca era sporca di sangue, e che lui le aveva confessato di avere ucciso la donna.

Robarts cerca di smontarne la deposizione, insinuando che se quanto riferito e giurato alle autorità britanniche ( per es. sul suo nubilato prima del matrimonio) era falso (per cui lei poteva essere accusata di bigamia e falsa testimonianza), sarebbe potuta essere falsa anche la sua deposizione in quella causa. Ma lei rigiura che quella è la sacrosanta verità anche dopo che le è stata ricordata la pena prevista per chi giura il falso.

Inoltre, la pubblica accusa porta a conoscenza della giuria il fatto che lo stesso Vole era stato notato a braccetto di una splendida giovane entrare in una agenzia di viaggi ed informarsi su quelli più costosi e interessanti (cosa che avrebbe avuto senso di fare se si fosse posseduto un certo ammontare di denaro oppure si fosse stato in procinto di riceverlo). Insomma, a dirla in breve, il caso è disperato.

Tra il pubblico, l’infermiera di Robarts è triste e vicino a lei una bella bruna (che avrà una grande importanza nel prosieguo) piange e si dispera, quasi inconsolabile : chi sarà mai?

Robarts non sa che pesci prendere, dato che non era stato informato della vicenda dell’agenzia di viaggi, quando accade l’mprevisto: riceve una telefonata, in cui una donna, da una delle stazioni di Londra, gli promette di dargli in cambio di soldi delle lettere che cambierebbero completamente la situazione processuale in atto.

In stazione in effetti conoscono una donna volgare che dice di volersi vendicare di Christine per uno sgarro d’amore avuto anni prima; e gli consegna delle lettere in cui Christine premedita di accusare falsamente il marito, che non avrebbe mai acconsentito a lasciarla andare via, affinché possano impiccarlo e così lei possa ritrovarsi libera di andar via con un altro, un certo Max ( e con le 80.000 sterline dell’eredità ricevuta dal marito). In aula, viene richiamata alla sbarra Christine, e Robarts la inganna, dicendole di aver ricevuto delle lettere compromettenti scritte da lei, e finge di leggere un foglio di carta normale; al che lei gli contesta il fatto che quella non può essere una sua lettera, perché lei usa una particolare carta da lettere, e allora l’avvocato difensore, toglie da sotto un libro il pacchetto delle vere lettere che si rivelano della stessa carta menzionata da Christine. Sbugiardata e costretta a rivelare che ha mentito, la giuria assolve Vole per non aver commesso il fatto.

Finito tutto? No. Perché Robarts non è contento come gli altri: gli sfugge qualcosa, gli sembra che tutto vada troppo bene al suo posto. E infatti…

Infatti, mentre l’accusato è stato rimesso in libertà ed è assediato dai cronisti, ecco che Christine, rimasta faccia a faccia con Robarts, gli rivela l’altra faccia di quello che si è appena concluso:

aveva giurato di aiutare il marito? Ebbene l’unico modo per aiutarlo, visto che non gli era permesso dalla legge testimoniare a suo favore, era di accusarlo falsamente, venendo poi sbugiardata da delle lettere che lei stessa avesse scritto con quell’intento. E la donna della stazione? Lei, sempre lei, con una parrucca e dei denti finti: durante la guerra non aveva fatto la ballerina, la cantante e l’attrice?

Robarts è sempre più sbalordito, ma nel tempo stesso ammira quella donna che ha imbastito tutto quel castello di falsità per salvare il marito dall’impiccagione; e che ha anche giurato il falso.

E glielo ricorda. Ma ecco, l’ultima verità: lei, sì che verrà giudicata per falso, ma in cuor suo non ha giurato il falso.

Come? Certo. Quella sera il marito era davvero ritornato più tardi di quello che aveva detto al suo avvocato difensore; ed il sangue di cui era sporco non era il suo ma quello della vittima: egli davvero l’aveva uccisa.

Queste ultime affermazioni vengono fatte, mentre il marito è rientrato in aula: all’avvocato furente che gli da dell’assassino, lui lo ringrazia per la difesa e gli dice che con le 80.000 sterline, il thermos che portava con sé, che avrebbe dovuto contenere della cioccolata calda con cui accompagnare le pillole, e che invece conteneva del brandy, lui glielo avrebbe fatto di oro puro! Non solo. Gli ricorda che per la giustizia inglese, nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. E’ così libero. Ed è stato lui, Robarts, l’involontario mezzo della sua liberazione.

Ma a questo punto, in questa commedia degli equivoci, ecco ancora un cambiamento di verità: a fianco di Vole, compare la ragazza che era seduta durante il processo a fianco dell’infermiera (che si era chiesta perché tante volte l’avvocato avesse bevuto da quel thermos invece che agli orari prestabiliti per assumere i medicinali) e che tante volte aveva pianto: è lei la ragazza dell’agenzia turistica. Lei e Vole si abbracciano. E così anche Christine si accorge di essere stata ingannata: rischierà il carcere per un assassino che ora grazie a lei vivrà libero e felice assieme ad un altra.

Finisce così? No. Perché…scopritelo voi, vedendo il film e scoprendo tante altro di questo grande capolavoro della suspence.

L’interpretazione della Dietrich avrebbe meritato l’Oscar, ma forse era troppo costruita: si sapeva della sua maniacale perfezione. Invece candidati all’Oscar furono Laughton e la moglie: in realtà l’interpretazione di questo avvocato così misogino e insofferente alla cure della sua infermiera,  fatta di risposte pungenti al limite della comicità, che si scontra con l’attaccamento maniacale al lavoro da parte di lei, caricano il film di una verve brillante, che, in un dramma come questo che altrimenti si sarebbe appesantito, contrasta assai piacevolmente.

Chissà quante risate si saranno fatti i due coniugi, quando magari replicavano sulla scena i mille battibecchi casalinghi! Fatto sta che Laughton e Lancaster ben avrebbero meritato l’Oscar. E forse qualche riconoscimento in più l’avrebbero anche potuto riconoscere (e ce ne furono; ma anche solo una candidatura all’Oscar ben sarebbe servita) alla O’Connor, la cui interpretazione della governante bisbetica, invidiosa e gelosa dell’eredità che altrimenti sarebbe toccata a lei, è veramente stratosferica.

Se le interpretazioni in taluni casi raggiungono vette di espressività (va ricordato che sei nominations ebbe il film agli Oscar, ma neanche uno lo conquistò), è da dire che, oltre la regia di altissima intelligenza, il film, se conquista subito per la tensione sempre ai massimi livelli, è in virtù di un montaggio estremamente sapiente, che dona un ritmo palpitante e frenetico: nessuna scena a vuoto, nessun fotogramma è mai inutile allo svolgimento dell’azione, e lo spettatore viene condotto al catartico finale in men che non si dica (circa due ore, che passano senza quasi accorgersene).

Insomma..un film grandissimo, cha vale sicuramente più di una visione, e che qui ci si rammarica che assieme ad altri grandi lampi di regie d’altri tempi non venga proposto in TV, al posto invece di inutili futilità del tempo attuale.

 

Pietro De Palma

Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution, 1957), di Billy Wilderultima modifica: 2011-08-31T19:25:38+02:00da lo11210scriba
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